«Quando gli uomini dell’esercito entravano in un villaggio e trovavano dei bambini, li uccidevano su due piedi o li catturavano e li portavano in caserma per poi darli in adozione». Fra il 1982 e il 1983 furono massacrati 5mila bimbi guatemaltechi. «Uno dei motivi per cui i minori venivano attaccati era eliminare futuri guerriglieri». Le parole di Marco Tulio Alvarez, esperto di diritti umani e perito delle famiglie delle vittime del genocidio del Guatemala, pesano come macigni. Nonostante la gelida impassibilità con cui l’ex generale José Efraín Rios Montt e il suo vecchio capo dell’intelligence José Rodriguez Sánchez – accusati di genocidio e crimini contro l’umanità – seguono lo svolgersi del processo, il Guatemala è cosciente che nulla sarà più come prima: le testimonianze ascoltate in questi giorni in aula hanno scosso l’opinione pubblica del piccolo Paese centroamericano, e non solo. Rios Montt governò di fatto il Paese fra il 23 marzo del 1982 e l’8 agosto del 1983: durante quell’atroce arco di tempo, nel cosiddetto “Triangolo Ixil” – dipartimento di Quiché – furono ammazzati almeno 1.771 maya. Le Forze armate sostenevano che la popolazione indigena appoggiasse i ribelli, nascondendoli o collaborando con loro contro le autorità. Ma gli analisti la considerano una scusa. Le violenze non si fermarono neppure di fronte a ragazzini di pochi anni. «La giustificazione era sterminare i futuri guerriglieri», rincara la dose Modesto Baquiax, professore all’Università Rafael Landivar di Città del Guatemala.I più deboli erano costantemente nel mirino. Torturati, violentati, massacrati, derubati. Bambini e donne. Per un’intera giornata il tribunale ha ascoltato l’orrore raccontato dalle vittime degli stupri: molte hanno parlato con il volto coperto dai variopinti teli maya, per non farsi riconoscere, e hanno riportato alla luce le violenze sessuali utilizzate puntualmente come arma di guerra. Storie macabre, che sono state ascoltate in un silenzio assoluto, rotto solo dai singhiozzi delle testimoni. «Se eri sposata ti violentavano fra i cinque e i dieci soldati. Se eri sola, allora erano 15 o 20», ha raccontato una delle vittime. «Mio zio un giorno camminava per strada con sua figlia e una nipotina, quando improvvisamente incrociò una pattuglia militare. Riuscirono a strapparle le due ragazzine. La piccola, di sette anni, fu uccisa: furono molti i soldati che prima passarono sul suo corpo». Magdalena era solo un’adolescente e i soldati la ammazzarono, pugnalandola al collo. Poi uccisero i suoi fratellini, Domingo e Pedro, di 13 e 10 anni. Il padre, Jacinto López, sopravvissuto, racconta che dopo aver «massacrato la famiglia, distrussero tutto il raccolto» e «si portarono via le mucche».Con il processo a Rios Montt, ormai 87enne, il Guatemala è costretto ad affrontare i fantasmi di un passato recente, che esige memoria e riparazioni. Fra il 1960 e il 1996 morirono almeno 200mila persone e altre 45mila scomparvero. La strategia militare dell’ex generale si guadagnò la definizione di «terra calcinata». Gli avvocati della difesa sostengono che non ordinò le atrocità commesse dai soldati, ma per molti esperti di diritti umani la sua presenza in aula è già un successo. Potrebbe essere anche un precedente. Per la prima volta al mondo un ex capo di Stato viene giudicato per genocidio nel suo stesso Paese e secondo le leggi nazionali. Alcuni casi simili – come quelli del Ruanda o della Serbia – sono stati processati da Corti internazionali.