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AMERICA LATINA. Guatemala, lista di morte per i sacerdoti che chiedono verità

Lucia Capuzzi lunedì 29 aprile 2013
Come sempre, nei momenti chiave della vita, monsignor Juan José Gerardi, non aveva una penna. «Fui io a prestargli la biro con cui annotò alcune frasi che avrebbe pronunciato nella presentazione», racconta il sacerdote José Luis Colmenares. Era il 24 aprile 1998 e il vescovo di Città del Guatemala si accingeva a rendere pubblico “Guatemala Nunca Más” (Guetamala mai più), il rapporto-verità sui 36 anni di guerra civile in cui furono massacrate 200mila persone. Il testo documentava nel dettaglio oltre 55mila episodi di violenza commesse per la maggior parte dall’esercito o dai gruppi paramilitari a questo vicini. La prova della fondatezza di quella denuncia arrivò 54 ore dopo: nella notte tra il 26 e il 27 aprile il cadavere martoriato di Juan Gerardi fu ritrovato nel garage della sua parrocchia. Gli stessi resti che, quindici anni dopo, nella notte tra venerdì e sabato, sono stati trasportati a spalla dalla cripta – dove erano stati sepolti – nella Plaza de la Constitución e da lì nel cuore della cattedrale guatemalteca. Riposeranno nella cappella di San Sebastián insieme a quelli dell’arcivescovo Próspero Penados, amico di Gerardi e, come lui, storico difensore dei diritti umani, morto nel 2005. Ad accompagnare la processione c’erano migliaia di guatemaltechi. Cattolici ma anche di altre confessioni o non credenti, per cui monsignor Gerardi continua ad essere una luce di speranza. Ora come e, forse, più di 15 anni fa, il Guatemala è immerso nelle tenebre dell’impunità e dell’intolleranza. Non solo i mandanti dell’assassinio del vescovo sono liberi. Impuniti sono pure la gran maggioranza dei crimini del conflitto. Il tentativo di processare l’ex dittatore Efraím Ríos Montt per il genocidio di migliaia di indigeni è stato bloccato dalla magistratura. Che, proprio in prossimità della sentenza, ha annullato il giudizio: un nuovo procedimento comincerà in autunno. In teoria. Perché in pratica i settori vicini all’ex generale e ai suoi gerarchi stanno realizzando una violenta campagna per impedire che sia finalmente fatta giustizia. Con denunce inventate e minacce contro chi difende i diritti umani. In primis quei sacerdoti che continuano l’azione di monsignor Gerardi. Vari documenti d’accusa, con nomi e fotografie di questi preti, vescovi, religiosi scomodi, e delle organizzazioni che hanno creato, vengono diffusi in Rete e per le strade del Paese. L’ultimo caso sono i due inquietanti rapporti di una non meglio precisata “Fondazione anti-terrorismo”. In cui vari religiosi e associazioni cattoliche sono indicati come «fomentatori d’odio» e «nemici del Paese». Naturale che gli attivisti siano preoccupati. In tanti ricordano che elenchi analoghi venivano diffuse ai tempi della guerra civile insieme allo slogan «sii patriota, uccidi un prete». Anche stavolta alle intimidazioni si accompagnano le violenze: tra febbraio e aprile sono stati massacrati otto leader comunitari, le aggressioni sono oltre 300. «Assistiamo a un costante mancanza di rispetto verso la vita umana», ha denunciato in un comunicato la Conferenza episcopale guatemalteca letto al termine della Messa per monsignor Gerardi. A celebrare la funzione è stato l’arcivescovo Oscar Julio Vian. Che ha definito il vescovo assassinato un «martire della pace». Un esempio per il Guatemala attuale. In cui continua ad echeggiare il suo grido: «Nunca Más» (Mai più).