Nicaragua. Ancora disordini e morti, l'appello del Papa
Un gruppo di dimostranti dietro le barricate a Masaya: due le vittime domenica nell'assedio a una chiesa (Ansa)
Nuove violenze domenica in Nicaragua, dove sono già più di 100 i morti in sette settimane di proteste di piazza contro i tagli alle pensioni e alla sicurezza sociale. Una trentina di sostenitori dell'opposizione sono rimasti assediati domenica dentro una chiesa a Masaya, fino a quando la polizia del Nicaragua è riuscita a sottrarli alle mani delle forze antisommossa e delle milizie filo-governative fedeli al presidente Daniel Ortega: nell'assedio alla chiesa sono morte sei persone, altre due nel resto del Paese. Ma sono oltre cento le vittime rimaste uccise finora in sei settimane di violenze, divampate durante i cortei contro i tagli alle pensioni e alla sicurezza sociale.
Sulla preoccupante situazione in Nicaragua, domenica dopo l'Angelus, è intervenuto Papa Francesco che si è detto vicino ai "vescovi del Nicaragua" esprimendo "dolore per le grandi violenze con morti e feriti compiuti dai gruppi armati per reprimere le proteste sociali". "Prego per le vittime e per i loro familiari - ha detto durante l'Angelus papa Francesco -, la Chiesa è sempre per il dialogo ma richiede l'impegno fattivo a rispettare la libertà e prima di tutto la vita. Prego perché cessi ogni violenza e si ripristinino le condizioni al più presto per il dialogo".
E' la seconda volta che papa Bergoglio interviene sulla situazione in Nicaragua. La prima il 22 aprile, al termine del Regina Coeli, quando il Papa aveva chiesto, dopo che si erano registrate due vittime all'Università Politecnica di Managua dove le forze di sicurezza avevano fatto irruzione. Allora il pontefice aveva chiesto di evitare ogni "inutile spargimento di sangue" e che "le questioni aperte siano risolte pacificamente e con senso di responsabilità".
Nei giorni scorsi la Conferenza episcopale nicaraguense aveva annunciato la sospensione del "dialogo nazionale" lanciato dal presidente e in cui i vescovi avevano accettato di fare da mediatori. Tutto sospeso, fino a quando, avevano scritto i vescovi in un duro comunicato, "il popolo continuerà ad essere represso ed assassinato".
Anche nella vicenda dell'assedio di domenica agli oppositori che avevano trovato rifugio in una chiesa nella città di Masaya, è stato risolutivo l'intervento della Chiesa cattolica. "Basta con le repressioni", ha attaccato monsignor Silvio José Báez, il vescovo ausiliare di Managua, elogiando il prete di Masaya, Edwing Roman, e l'avvocato per i diritti umani, Alvaro Leiva, per i loro sforzi nel negoziare con le autorità. Lo stesso vescovo ha poi esortato nuovamente il presidente Ortega a porre fine alla repressione delle proteste contro il suo governo.
Lo scorso 30 maggio, "festa della mamma", erano scese in piazza le donne con le foto dei giovani assassinati – circa un centinaio – nei precedenti giorni di protesta. Il maxi-corteo, che si è snodato per quasi quattro chilometri, è risultato essere uno dei più imponenti degli ultimi quarant'anni nel centro di Managua. Una manifestazione pacifica, in memoria delle vittime al grido: «Non erano terroristi, erano studenti».
Scoppiata ad aprile, in opposizione a una riforma della sicurezza sociale che Ortega ha voluto imporre unilateralmente, la protesta è stata fin da subito brutalmente repressa dalle forze dell'ordine e da gruppi di militanti sandinisti. Un pugno duro vissuto dalla popolazione come un vero e proprio tradimento da parte del 72enne Ortega, che negli anni '70 guidò la rivoluzione sandinista che travolse il regime dittatoriale di Anastasio Somoza. Ora, lo accusa la piazza, è diventato lui stesso un dittatore come quello che aveva abbattuto.