Intervista. Guaidó: ora voglio un Venezuela libero
«Juan, ti ammiriamo!». La biblioteca dell’Università Cattolica Andrés Bello di Caracas è in fermento. Gli studenti sono euforici. Sembra una festa di laurea e, invece, è un comizio del «nostro presidente », gridano i ragazzi. «Guaidó, Guaidó, Guaidó», intonano in coro. L’ingegnere 35enne si mostra a suo agio fra i fan. A cui dà la precedenza rispetto ai giornalisti internazionali lanciati al suo inseguimento per tutta Caracas. Arriva accompagnato dai più stretti collaboratori, una decina di persone in tutto, guardie del corpo incluse. Nessun corpetto antiproiettile o “blindatura” speciale per l’uomo che, il 23 gennaio, ha sfidato Nicolás Maduro proclamandosi presidente ad interim del Venezuela. Guaidó sorride sempre, mostrando i denti bianchi e perfetti. Posa con i giovani che gli chiedono un autografo e una foto. «Dai, facciamo un selfie, scatto io», scherza con le ragazze. «È che qui per me è come tornare a casa», dice il leader del Parlamento e dell’opposizione che si è formato proprio sui banchi di questa Università, retta dalla Compagnia di Gesù. Risponde alle domande solo dopo aver stretto la mano ed essersi presentato ad ogni cronista. «La prego, mi faccia solo bere un bicchier d’acqua», dice.
Iniziamo dall’Italia. Che cosa pensa della posizione di Roma. Il vicepremier Luigi Di Maio ha ribadito che il governo resterà neutrale. Che cosa risponde?
È un Paese fratello. In Venezuela tanti discendono dagli italiani. I vostri immigrati hanno contribuito al nostro sviluppo. Anche loro sono in attesa dei passi che intraprenderà nei prossimi giorni il governo. Sono sicuro che alla fine si deciderà a sostenere il legittimo presidente.
Che sarebbe, quindi, lei…
Già, sono io. Maduro dice lo stesso. E allora? Non sono io a dirlo bensì la Costituzione. Le elezioni del 20 maggio sono state fraudolente. Per tale ragione, la carica presidenziale era vacante a partire dal 10 gennaio. La Carta prevede, dunque, che il leader dell’Assemblea nazionale assuma l’incarico, in via temporanea, di capo dello Stato. Ed è quel che ho fatto.
Lei è diventato nel giro di poche settimane uno degli uomini più noti del Venezuela. Dell’America Latina. Com’è potuto accadere? Guaidó è un presidente improvvisato?
Credo che più che concentrarsi sulla mia persona si dovrebbe considerare il lavoro compiuto in questi anni, con fatica, dall’opposizione. Abbiamo creato reti, fatto campagna porta a porta nei quartieri popolari. Il momento attuale, che io definisco di rinascita – perché i cittadini hanno finalmente ritrovato la speranza – è il frutto di un lungo lavoro.
Finora, però, tale lavoro non aveva prodotto risultati…
Dobbiamo considerare il fatto che l’opposizione si trova a fare i conti con una dittatura. Ci sono stati decine di morti nella repressione solo nell’ultima settimana di gennaio. Per non parlare delle vittime delle proteste del febbraio 2014 e dell’estate 2017. Non è, poi, corretto affermare che la strategia del fronte anti-madurista non abbia prodotto risultati. Nel 2015, l’opposizione ha vinto le elezioni legislative in condizioni che potremmo eufemisticamente definire «sfavorevoli».
Nicolás Maduro la accusa di essere solo il fantoccio degli americani. È così?
Grazie per la domanda. È importante sottolinearlo. Con questa affermazione, Maduro manca di rispetto, non solo a me e agli anni di resistenza delle forze di opposizione, bensì ai milioni di venezuelani che si sono mobilitati nelle marce degli scorsi giorni. Non per Guaidó. Ma perché vogliono chiudere la tragica pagina del chavismo. Quanto a me, non sono il burattino di nessuno, tantomeno di Trump. Sono solo un militante che vuole un Venezuela libero. Mi tocca, per questo, una grande responsabi-lità: quella di gestire al meglio la fase cruciale in cui ci troviamo, mantenendo il popolo mobilitato nella battaglia per la dignità. Il Venezuela sta dimostrando ancora una volta il suo spirito eroico e combattivo. Il Paese ha ricominciato a credere in se stesso. Per questo sono fiducioso. Riusciremo a riconquistare la libertà.
È favorevole a un’azione militare degli Stati Uniti? Certo che no. Ci mancherebbe altro. Né io né il resto dell’opposizione vogliamo un’invasione “gringa”. Non vogliamo, però, che il Venezuela resti dominato da una dittatura.
Lei è cresciuto nell’era di Hugo Chávez, per tanti quasi un idolo. Lei ha mai creduto alle sue parole?
Diciamo che Chávez non mi è mai stato simpatico. Per una ragione fondamentale: nel 1992 ha cercato di conquistare il potere con la forza. Posso condividere le cause che l’avevano portato a inscenare il golpe. Sono, però, assolutamente contrario al metodo. Creo fermamente nella non violenza. I miei riferimenti sono i leader che hanno promosso cambiamenti senza spargimento di sangue. È quanto stiamo cercando di fare ora.
Immaginiamo che Maduro si ritiri. Che cosa farà dopo Guaidó? Si candiderà?
Lo valuteremo insieme a tutte le forze d’opposizione. Ripeto: Guaidó non è un outsider. È parte di un movimento che decide insieme. Non per il bene del singolo, ma per il bene del Venezuela.