Mondo

Indonesia. Governatore cristiano di Giacarta indagato per blasfemia

Francesca Bertoldi mercoledì 16 novembre 2016

Il governatore di Giacarta Basuki Tjahaja Purnama “Ahok”, a sinistra, con il segretario di Stato Usa John Kerry

Alla fine ha vinto la piazza, “piliotata” dai gruppi di fondamentalisti islamici. La polizia indonesiana ha formalmente indagato il governatore di Giacarta, cristiano e di etnia cinese, per blasfemia: la decisione, presa sull'onda delle pressioni dei gruppi islamisti, getta ombre sulla giovane democrazia indonesiana, dove vive la più popolosa comunità musulmana al mondo. Basuki Tjahaja Purnama, popolarmente conosciuto come Ahok, è stato accusato da estremisti islamici di aver insultato l'Islam in un discorso in cui ha citato un verso del Corano. Accusa che il governatore nega con decisione, parlando di chiare strumentalizzazioni.

Non può lasciare il Paese

L'ispettore generale della polizia, Ari Dono Kabareskrim, ha detto che il governatore è da considerarsi “indagato” e di avere trasferito il caso ai giudici: «Anche se ci sono diverse opinioni tra gli inquirenti, abbiamo deciso che il caso si risolva in un tribunale»". Nel frattempo il governatore non potrà recarsi all'estero. L'Indonesia è il più popoloso Paese musulmano al mondo: l'88 per cento dei suoi 250 milioni di abitanti si professano musulmani; il resto della popolazione è cristiana, buddista o induista. La Costituzione tutela la libertà di culto e Giacarta è stato per anni un interessante esperimento di coabitazione democratica. Le religioni riconosciute dalla Costituzione sono sei: oltre all'islam, il cattolicesimo, il protestantesimo, l'induismo, il buddhismo e il confucianesimo. Ma di recente si sono registrati numerosi episodi di intolleranza. A settembre in un comizio il governatore ha contestato che fosse giusta l'interpretazione di alcuni ulema di un versetto del Corano, che vieterebbe di votare per un non musulmano. Il video è diventato virale, lui si è difeso sostenendo che fosse stato manipolato, e anche se ha insistito di non aver voluto insultare né l'Islam né il Corano e si è scusato. Il 4 novembre circa 100mila persone hanno marciato fino al Palazzo presidenziale per chiedere che fosse processato e si dimettesse. La marcia è terminata con scontri tra polizia e manifestanti.


Domenica una bambina è rimasta uccisa nell'esplosione di una bomba gettata nella chiesa di Samarinda (East Kalimantan)
.

Spaventa la rielezione

Ahok, che è succeduto al presidente Joko Widodo come governatore di Giacarta nel 2014, è in corsa per la rielezione, a febbraio prossimo: popolarissimo, è in testa ai sondaggi e gode soprattutto dell'appoggio di Widodo e del suo Partito Democratico dell'Indonesia per la Lotta; ma ha un temperamento focoso e senza peli sulla lingua, che gli ha attirato molti nemici. Apprezzato tra i musulmani moderati, martedì a un suo comizio, era presente un gruppo di donne musulmane, con il capo coperto dal velo, che scandiva: «Ti voteremo, Pak Ahok». Le proteste degli islamisti sono alimentate dal partito Gerindra, in cui milita il suo principale avversario. Prima dell'annuncio della polizia, Ahok ha promesso di «correre» comunque, a prescindere dall'inchiesta: «Non lasciatevi intimorire», ha detto ai suoi elettori. Solo il 4 novembre scorso, al termine di una lunga campagna di accuse, centomila islamici erano scesi in piazza a Giacarta, paralizzando la capitale, per chiedere la messa in stato d'accusa del governatore cristiano. Cosa che le autorità hanno puntualmente eseguito.