Medio Oriente. La «vendetta» di Biden rialza la tensione
La distruzione causata dal bombardamento americano in Iraq
I bombardieri B-1 sono decollati dagli Stati Uniti e hanno colpito gli obiettivi in Iraq e in Siria riforniti in volo. Da anni non tornavano in scena i protagonisti “invisibili”, stealth, della guerra del Golfo: i recenti raid in Medio Oriente – anche contro gli Houthi yemeniti – sono stati condotti con droni, missili o caccia partiti dalle portaerei. Uno sfoggio di forza, un altolà. Anche perché l’azione era stata annunciata subito dopo l’uccisione, domenica scorsa, di tre militari sul confine siro-giordano in un attacco con droni da parte di milizie filo iraniane basate tra Siria e Iraq. L’altra notte, davanti alle tre salme nella base di Dover in Delaware, il presidente Joe Biden ha ordinato la rappresaglia. Anche se il governo iracheno non fosse stato avvisato – come invece Washington sostiene, smentito da Baghdad e Teheran – i filoiraniani avrebbero avuto tutto il tempo di spostare almeno parte degli arsenali e dei combattenti. Come su una scacchiera, la partita mediorientale tra Stati Uniti e Iran si gioca con mosse studiate. Anche perché la posta in ballo è vertiginosa. E in serata, i media affiliati ai ribelli Houthi affermano che la capitale yemenita «Sanaa è stata bersagliata da raid americani-britannici», riferisce Al Jazeera. In precedenza il Comando Centrale degli Stati Uniti aveva annunciato di aver preso di mira 6 missili anti-nave nelle aree sotto il controllo degli Houthi nello Yemen. Anche la Cnn parla di almeno 30 obiettivi colpiti da Stati Uniti e Gran Bretagna.
Biden e la moglie Jill rendono omaggio alle salme dei tre soldati uccisi in Siria - Ansa
I raid, condotti con missili di precisione e oltre 125 bombe, hanno colpito più di 85 obiettivi tra cui «centri di comando e controllo, centrali di intelligence, razzi e missili, depositi di veicoli aerei senza pilota e strutture logistiche e della catena di approvvigionamento di munizioni». Sono durati 30 minuti e si sono concentrati nell’area di al-Mayadin, la “capitale iraniana” della Siria, e nel distretto di al-Bukamal, via di rifornimento al confine con l’Iraq. «Oggi è cominciata la nostra risposta», ha detto Biden. «Continuerà nel momento e nel luogo prescelti. Gli Stati Uniti non sono alla ricerca di guerre in Medio Oriente o in nessun’altra parte del mondo. Ma coloro che potrebbero farci del male sappiano: se farete del male agli americani, noi risponderemo».
Ci sarebbero vittime, almeno 16 in Iraq e 18 in Siria, in prevalenza miliziani. I raid hanno suscitato l’irritazione del governo di Baghdad, che denunciato «una violazione della sovranità territoriale». Per l’esercito di Damasco «l’occupazione di parti del territorio siriano da parte delle forze statunitensi non può continuare». Identica condanna da Teheran, che parla di raid progettati «per mettere in ombra i crimini del regime sionista a Gaza» e li bolla come «un’azione avventurosa e un altro errore strategico da parte degli americani, che non farà che aumentare le tensioni e l’instabilità nella regione». Per Hamas, gli Usa hanno versato «benzina sul fuoco». Per la Jihad islamica i «popoli rivoluzionari iracheno e siriano, insieme ai popoli yemenita e libanese, stanno pagando il prezzo del loro sostegno al nostro popolo palestinese nella resistenza alla guerra e al genocidio». L’Asse dei resistenti si compatta dunque attorno al capofila Iran.
L'arrivo negli Usa delle salme dei 3 militari americani uccisi - Epa
Intanto a Gaza si allunga l’attesa di una risposta di Hamas alla proposta di 6 settimane di tregua in cambio del rilascio dei 136 ostaggi israeliani. Domani arriverà in Medio Oriente il segretario di Stato americano Antony Blinker. Ieri un raid ha ucciso 18 persone a Deir al-Balah e a Rafah. Sono le ultime due città dove i carri armati non sono ancora arrivati, in quell’estremo angolo sudoccidentale della Striscia dove si pigia più della metà dei 2,3 milioni di gazawi. Di solito i raid precedono le truppe.