Corea del Sud. Il fallito blitz del presidente nel silenzio della Casa Bianca
Le proteste davanti al Parlamento di Seul
Potrebbe sembrare una vicenda tutta interna (e forse in risoluzione con il ritiro della legge annunciato dal presidente anche se gli strascichi saranno lunghi e pesanti). Eppure, il golpe di fatto messo in atto dal presidente sudcoreano Yoon Suk-yeol, esponente del Partito del Potere Popolare (conservatore), pare riannodarsi alla situazione di caos internazionale in qualche modo connessa al nuovo patto delle autocrazie che va da Mosca a Teheran, passando per Pechino e finendo proprio a Pyongyang. E sono infatti le presunte infiltrazioni del Nord comunista che avrebbero convinto il leader eletto nel 2022 a proclamare la legge marziale e a sospendere di fatto le garanzie democratiche. Quanto le forze d’opposizione del Partito democratico siano davvero colpevoli di intelligenza col nemico Kim Jong-un è difficile dire, anche se prevalgono forti dubbi. Non sono invece in discussione i forti timori manifestati a più riprese da Yoon Suk-yeol, che negli ultimi tre anni ha spinto sulla deterrenza militare e la cooperazione trilaterale con Stati Uniti e Giappone al fine di sventare una potenziale minaccia dal confine settentrionale. Tale politica ha portato a un raffreddamento delle relazioni intercoreane. Il regime di Kim ha quindi intensificato le provocazioni militari e, in ottobre, ha annunciato la chiusura definitiva dei collegamenti terrestri con il Sud. Il predecessore dell’attuale leader, Moon Jae-in, aveva invece perseguito una linea di “ambiguità strategica” tra Washington e Pechino, nel tentativo di mantenere un equilibrio nelle relazioni con entrambe le potenze. La sua amministrazione aveva ripreso la “Sunshine Policy”, valsa il Nobel per la Pace a Kim Dae-jung, per migliorare i rapporti con la Corea del Nord, che aveva avuto nei summit del 2018 un importante risultato. Tuttavia, quegli sforzi non hanno poi portato a progressi duraturi nella denuclearizzazione o nella riconciliazione fra i due Paesi fratelli e nemici. La Corea del Sud sta attualmente affrontando diverse sfide interne, tra cui un rallentamento economico (accompagnato però da un aumento dei prezzi degli immobili), un crescente divario fra i redditi e l'invecchiamento rapido della popolazione. Questi problemi hanno influenzato il panorama politico, con l'opposizione capace di capitalizzare il malcontento popolare. Recentemente, sono poi emerse preoccupazioni per un possibile peggioramento del quadro democratico sotto l'amministrazione Yoon, con accuse di indagini motivate politicamente contro figure pubbliche sgradite e intimidazioni nei confronti dei media critici con il governo. Ciò ha portato fra l’altro a un calo significativo della posizione della Corea del Sud nell'Indice mondiale della libertà di stampa nel 2024. La tensione è salita ulteriormente negli ultimi mesi con i casi di presunta corruzione che hanno riguardato la first lady e altre vicende poco chiare di interessi finanziari dello stesso Yoon, che si è finito in minoranza nell’Assemblea nazionale, guidata dai Democratici dopo le elezioni politiche dell’aprile scorso. Il governo si è trovato pertanto in difficoltà nell’approvare il bilancio e nel fare passare i propri progetti di legge, dovendo giocare in difesa con il diritto di veto sulle proposte della maggioranza parlamentare. Tuttavia, in assenza di ulteriori informazioni su altri eventuali ragioni dietro l’azione di forza, quello che fa riflettere è la tempistica. Il presidente, come detto, ha stretto la partnership con gli Usa e non può ignorare che forse è questo il momento di maggiore debolezza dell’alleato – impegnato in una complicata transizione fra Biden e Trump – e che quindi l’efficacia di pressioni americane per un ripristino delle libertà costituzionali poteva essere oggi ridotta. Si può ipotizzare, come nel caso della Siria, che la debolezza contingente della Casa Bianca spinga alcuni protagonisti sulla scena internazionale a mettere in atto ciò che altrimenti si sarebbero trattenuti dal fare. Forse in questa dinamica ha pensato di inserirsi uno Yoon Suk-yeol finito nell’angolo. Ma la pronta reazione dei deputati e dei cittadini di Seul (e delle stesse forze armate chiamate a prendere il potere) sembra potere mettere in salvo la democrazia coreana, ormai solida dal 1987, anche senza la necessità di un monito del “gendarme” statunitense.