Russia. Gli oligarchi fuggiti da Londra adesso «piangono miseria» in altri lidi
«Fuggi o combatti». Il motto che descrive l’ancestrale meccanismo di difesa del corpo al pericolo è anche quello che sintetizza le strategie adottate dagli oligarchi russi che facevano affari nel Regno Unito per navigare dodici mesi di guerra e sanzioni. Roman Abramovich, 56 anni, forse il più famoso degli “amici” di Vladimir Putin, è tra quelli, la maggior parte, che ha lasciato Londra. Oggi vive in Turchia, a Istanbul, ma è stato spesso visto a Mosca come anche in Israele e negli Emirati Arabi Uniti. Fa la spola tra i Paesi che non hanno sanzionato gli oligarchi. Si dice che Dubai abbia attratto in un anno talmente tanti russi da avere oggi un quartiere ribattezzato « Piccola Mosca».
L’ex patron del Chelsea ha visto il suo patrimonio crollare del 40% ma la sua ricchezza potrebbe valere ancora almeno 10,5 miliardi di dollari. Se non di più. L’uomo che si è proposto come mediatore di pace tra Mosca e Kiev, è noto, ha modificato i suoi trust offshore tre settimane prima dell’invasione russa per trasferire miliardi di beni ai suoi figli. Una delle sue società, Truphone, gestita con i tycoons Alexander Abramov e Alexander Frolov, è stata di recente in Europa a un pound (uno). Nel 2020 il suo valore era di 410 milioni di sterline. Si è stabilito invece in Lettonia il magnate del petrolio Petr Aven, 67 anni, che a marzo scorso provò a difendersi dalle sanzioni dicendo di essere stato preso di mira «solo per aver risposto al telefono a Putin». A ottobre scorso l’ufficio del Tesoro incaricato di applicare le sanzioni ha concesso al miliardario, comproprietario del fondo investimenti LetterOne, di prelevare ogni mese dai conti bancari congelati all’inizio della guerra circa 60mila sterline per sostenere le spese necessarie a soddisfare i «bisogni essenziali» della sua famiglia.
Il “signore” dell’acciaio russo, Oleg Deripaska, 55 anni, si sarebbe invece trasferito in Russia dove, ironia della sorte, avrebbe imparato a proprie spese il peso di una parola di troppo. Secondo la stampa locale l’imprenditore avrebbe infatti parlato dell’invasione ucraina come di una “guerra”, termine bandito dal Cremlino, errore che gli è costato il sequestro di uno dei suoi alberghi moscoviti. In un anno di conflitto la sua fortuna si è quasi dimezzata. Non la sua intraprendenza. L’uomo ha usato il suo “factotum” britannico, Graham Bonham-Carter, per aggirare le restrizioni poste a suo carico e acquistare immobili negli Stati Uniti. Il suo braccio destro, scoperto e arrestato, lo avrebbe aiutato anche a trasferire opere d’arte da New York a Londra. Tra i pochi rimasti Oltremanica c’è Mikhail Fridman, nato 58 anni fa in Ucraina, determinato a combattere per riappropriarsi dei beni che gli sono stati sequestrati con una costosissima controffensiva legale.
Strategia, utilizzata anche da Abramovich e Alicher Ousmanov, che certifica la possibilità economica degli oligarchi “caduti in rovina” di poter ancora spendere milioni in parcelle di avvocati. « È difficile sapere se stanno davvero soffrendo le conseguenze delle sanzioni – ha sottolineato all’agenzia Afp l’esperta di geopolitica Jodi Vittori – perchè non sappiamo esattamente quanto hanno». Chissà quante sono le proprietà possedute, ha aggiunto, «in qualche paradiso fiscale, a nome di parenti, società di comodo o trust anonimi». Insomma il «piangere miseria» anche tra i russi non cade mai in prescrizione.