Il rapporto. Giappone, sterilizzazioni forzate: la vergogna vale solo pochi soldi
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«Fortemente inadeguato» secondo i legali che tutelano le vittime della politica eugenetica ufficiale in vigore dalla fine della seconda guerra mondiale fino al 1996, il rapporto consegnato questa settimana all’esame del Parlamento di Tokyo. Una inadeguatezza o una parzialità che parte dalla cifre indicate di 16.500 donne sottoposte a sterilizzazione forzata più 8.500 consensualmente (per un totale di 25mila), che per i critici ripropongono dati già noti e utilizzati nel dibattito parlamentare che nel 2019 ha accompagnato la promulgazione di una apposita legge che include l’impegno ufficiale a indennizzare le vittime. Allora erano stati riconosciuti a ciascuna 3,2 milioni di yen, circa 20mila euro.
L’esiguità dei risarcimenti e la persistente difficoltà a ottenerli resta sicuramente un punto essenziale nelle battaglie in corso da decenni per fare luce e giustizia. Insieme però alla mancanza di un qualsivoglia posizione ufficiale sulle ragioni di una politica perseguita per mezzo secolo e avviata riallacciandosi a simili esperienze prebelliche già nei mesi che avevano seguito la resa del Giappone il 10 agosto 1946, dopo lo gancio delle bombe atomiche su Hiroshima e Nagasaki. Quasi fosse una priorità nel contesto di un Paese devastato dalla guerra, scioccato dall’olocausto nucleare, traumatizzato dalla sconfitta e gestito dalle forze di occupazione americana e alleata. Nelle 1.400 pagine del testo sottoposto al Parlamento si ricorda come donne di ogni età e persino bambine di nove anni, siano state private della possibilità di procreare attraverso la sterilizzazione per impedire che si diffondessero disabilità mentali ereditarie, con il fine espresso di «prevenire discendenti di scarsa qualità». Colpisce ancora una volta, e su questo sono particolarmente agguerriti legali e gruppi che sostengono le vittime, la mancanza di una chiara proposta delle responsabilità, facendo del rapporto, con le parole dell’avvocato Koji Niisato, «in buona misura una raccolta di quanto già investigato e diffuso» che conferma soltanto «che si trattò di una legge terribile all’estremo».
La domanda di cui tutti aspettano una risposta è perché il governo giapponese, ovviamente a nome dei precedenti, non abbia riconosciuto queste responsabilità nonostante abbia promosso l’emendamento della legge.
Oltre tutto, anche sul piano legale e degli indennizzi le sopravvissute continuano a incontrare ostacoli. Se lo scorso anno l’Alta Corte della città di Osaka aveva ordinato all’esecutivo di compensare congiuntamente tre donne con l’equivalente di 190mila euro, il mese scorso una Corte di pari livello lo ha sconfessato sulla base di una presunta prescrizione a oltre vent’anni dai danni subiti.