Lavoro e demografia. Svolta in Giappone: mancano addetti, spazio agli immigrati
Un lavoratore di origine vietnamita nella prefettura di Yamanashi
Alle prese con una drammatica carenza di manodopera e l’invecchiamento sempre più pronunciato della popolazione - due fenomeni strettamente intrecciati che minacciano di avere ripercussioni esiziali sulla tenuta sociale ed economica del Paese - il Giappone (ri)scopre la risorsa dei lavoratori stranieri. Un salto culturale, non privo di tensioni e oscillazioni, in un Paese tradizionalmente poco incline all’“apertura”. I dati certificano che si tratta di un fenomeno in rapida crescita. Per la prima volta nella sua storia il numero di lavoratori stranieri ha superato quota 2 milioni, un livello record per la terza economia al mondo. Secondo i dati del ministero del Lavoro, alla fine di ottobre, c'erano 2.048.675 lavoratori stranieri nel Paese, con un’impennata di 225.950 rispetto all'anno precedente. L’aumento su base annua è stato del 12,4%, facendo registrare una decisa accelerazione rispetto al più 5,5% dell’anno precedente.
Chi sono e da dove provengono le persone che cercano di costruirsi una nuova vita in Giappone? La fetta più grande arriva dal Vietnam (518.364, il 25,3% del totale), seguiti dai lavoratori cinesi (397.918, il 19,4%) e filippini (226.846, 11,1%). Il settore che assorbe di più è quello manufatturiero (27 per cento del totale) mentre quello che ha registrato il più deciso balzo in avanti è quello edile, con un aumento del 24,1%.
UN BUCO DI 11 MILIONI DI LAVORATORI
Si tratta di una misura “occasionale” o, invece, di una tendenza destinata a consolidarsi? Di una ricetta temporanea o strutturale? Qualunque sia l’approccio che il governo giapponese sceglierà, un dato di fatto sempre inaggirabile: la popolazione in età lavorativa del Sol Levante diminuirà rapidamente. Secondo uno studio del think tank Recruit Works Institute, il Paese potrebbe trovarsi a fronteggiare un “buco” di oltre 11 milioni di lavoratori entro il 2040, con una flessione del 12 per cento rispetto al 2022 del numero di lavoratori disponibili.
“Non stiamo parlando di una carenza temporanea ma strutturale”, conferma Shoto Furuya, ricercatore capo presso il Recruit Works Institute. Con il rischio che “la società giapponese non sia più in grado di fornire la forza lavoro necessaria per mantenere il livello di servizi essenziali attuale”. Il fattore di fondo è, ancora una volta, quello demografico: la popolazione anziana (65+) continuerà a crescere fino al 2044, mentre la popolazione in età lavorativa (15-64 anni) diminuirà rapidamente. “Entro il 2040, potremmo precipitare in una situazione drammatica”, ammette l’esperto.
LA DEBLACE DEMOGRAFICA
Le statistiche sono impietose. Più di una persona su 10 nel Paese ha ormai 80 anni o più. Il 29,1% dei 125 milioni di abitanti ha 65 anni o più. Il Giappone ha la popolazione più anziana nel mondo. E secondo l’Istituto nazionale per la ricerca sulla popolazione e la sicurezza sociale, gli over 65 rappresenteranno il 34,8% della popolazione entro il 2040. Le speranze di rilanciare la curva demografica sono praticamente inesistenti. Nel 2022 sono nati meno di 800.000 bambini, il numero più basso da quando sono iniziate le registrazioni nel 19esimo secolo, con il tasso di fertilità totale – il numero di figli che una donna ha nella sua vita – al minimo storico di 1,26. Il primo ministro Fumio Kishida ha più volte lanciato l’allarme, parlando di effetti fatali per il Giappone e di una sfida – “ora o mai più” - non più rinviabile.
UN PERCORSO A OSTACOLI
Ma anche il ricorso alla manodopera straniera potrebbe non essere la panacea sperata o, quanto meno, rivelarsi una carta meno efficace del previsto. È un percorso fitto di ostacoli, un mix fatto di elementi culturali e fattori economici. Secondo Hisashi Yamada, economista del Japan Research Institute, “il Giappone ha tradizionalmente opinioni contrarie all'arrivo di molti stranieri. Gli amministratori hanno evitato di farsi coinvolgere in questa questione politica".
Una serie di fattori – dalla crescita lenta dei salari al persistere di culture aziendali rigide, dai nuovi programmi di visto dei Paesi vicini all’aumento dei livelli salariali nelle economie emergenti – rischia di offuscare l’immagine del Giappone, minando la sua capacità di attrarre energie e talenti stranieri. Pesano anche "eredità" culturali. La riprova di quanto si tratti di un percorso accidentato arriva dalla cronaca. Tre persone nate all’estero e residenti a Tokyo hanno fatto causa al governo per presunta “profilazione razziale”. La causa sostiene che i tre sono stati interrogati dalla polizia sulla base della razza, del colore della pelle e della nazionalità: una "discriminazione in violazione della costituzione giapponese".
I tre chiedono tre milioni di yen (circa 20.355 dollari) di risarcimento a testa al governo nazionale. "C'è un'immagine molto forte in Giappone secondo la quale straniero equivale a criminale", ha detto ai giornalisti uno dei tre querelanti, Syed Zain, nato in Pakistan.