Giappone. Tokyo raddoppia gli ingressi dei rifugiati. A 60
Passo talmente piccolo da sembrare impercettibile o cambiamento epocale? Probabilmente entrambe le cose. Perché il Giappone, uno dei Paesi con le politiche di asilo più severe al mondo, ha annunciato di voler raddoppiare, entro il 2020, il numero di ingressi. Fin qui siamo nel perimetro del cambiamento epocale. I numeri, però, ridimensionano la portata del cambiamento. Perché la terza economia al mondo, negli ultimi cinque anni ha concesso lo status di rifugiato a meno di 100 persone. Nel 2017 su un totale di 20mila domande pervenute, solo venti hanno superato le maglie della rigidissimo sistema giapponese. Dal 2020 passeranno da 30 a 60.
I rifugiati accettati nell'ambito dell'attuale programma di reinsediamento rimangono a Tokyo per circa sei mesi per apprendere la lingua giapponese e poi trasferirsi nelle aree in cui si stabiliranno, prevalentemente nelle zone rurali. Secondo gli analisti sono due i fattori che hanno spinto da sempre il Giappone a sbarrare la porta degli accessi. Il primo è di carattere nazional-sociale: il forte senso di coesione identitaria. Il secondo è invece di natura geopolitica: la paura storica di un collasso della Corea del Nord, con successiva ondata migratoria. Una accoglienza più generosa potrebbe, però, tamponare la bomba ad orologeria che rischia di fare saltare gli equilibri del Pese: quella demografica. Basti solo segnalare che più di un quarto dei giapponesi ha 65 anni o più, mentre il 2017 ha registrato il numero più basso di nascite negli ultimi 120 anni.