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Kiev. Guerra in Ucraina anche sull'Avvento. E sul terreno la «situazione è difficile»

Giacomo Gambassi, inviato a Kharkiv mercoledì 15 novembre 2023

Soldati ucraini in addestramento nella regione di Kiev

La Russia «sta aumentando la pressione militare sull’Ucraina». A dirlo il presidente ucraino Volodymyr Zelensky che è tornato a chiedere all’Occidente di aumentare «le sue forniture di armi prima dell’inverno». «L’esercito ha segnalato un aumento del numero di assalti nemici», ha ribadito Zelensky, affermando che i russi stanno attaccando intorno alle città di Donetsk, Kupyansk e Avdiivka. Zelensky ha poi avvertito che la Russia probabilmente aumenterà gli attacchi aerei contro le infrastrutture energetiche dell’Ucraina prima dell’inverno, come ha fatto in questo periodo l’anno scorso. Ieri le forze russe hanno bombardato otto comunità vicino al confine della regione di Sumy, nell’Ucraina orientale, provocando oltre 100 esplosioni. Infine le Forze russe hanno lanciato due missili e nove droni kamikaze contro l’Ucraina, sette dei quali sono stati abbattuti. Sul fronte del sostegno militare al Paese, la Germania ha ammesso ieri che l’Unione Europea non riuscirà a raggiungere l’obiettivo di fornire all’Ucraina un milione di proiettili in un anno. «Il milione non sarà raggiunto, dobbiamo partire da questa base», ha sottolineato il ministro della Difesa tedesco, Boris Pistorius. Infine il segretario generale della Nato Jens Stoltenberg, «la situazione sul piano di battaglia in Ucraina è difficile».


Nella laica Ucraina, che soprattutto nel sud e nell’est risente ancora del paradigma ateista del periodo sovietico, la giornata di oggi non è molto differente da quelle che l’hanno preceduta, fra missili che la devastano, combattimenti al fronte, stanchezza che si fa sentire, povertà che cresce dopo oltre seicento giorni di guerra. Ma nella vita religiosa segna una rivoluzione: infatti comincia il 15 novembre il “nuovo” Avvento. Quello nato dal conflitto. È l’effetto che l’invasione russa ha avuto intorno all’altare. Con le bombe che cadono, la Chiesa greco-cattolica e la Chiesa ortodossa ucraina, che dal 2018 si è separata dalla propaggine ucraina del patriarcato di Mosca, hanno cambiato il calendario liturgico. Non più quello giuliano che ancora segue la Chiesa ortodossa russa, ma quello riformato in modo condiviso dalle due comunità ecclesiali di rito orientale che lo hanno chiamato “neo giuliano” e che le avvicina all’Occidente. A cominciare dalla data del Natale: il 25 dicembre. Subentra al 7 gennaio, giorno in cui la festa viene celebrata in Russia.

Secondo le nuove disposizioni che marcano le distanze da Mosca, tutto è anticipato di 13 giorni, ad eccezione della Pasqua che continuerà a tenersi la settimana successiva a quella di Roma. Lo slittamento riguarda anche l’Avvento che, in base alla tradizione bizantina, rimane di quaranta giorni, come la Quaresima. Così, nelle due Chiese che contano il maggior numero di praticanti, inizia quasi due settimane prima, nella memoria liturgica di san Filippo. Giorno di digiuno e penitenza che apre il cammino di preghiera e conversione in preparazione alla Natività.

Come mai era accaduto in passato, il 25 dicembre unirà i cristiani del Paese: dagli ortodossi della Chiesa autocefala guidata dal patriarca Epifanij ai greco-cattolici che hanno come capo l’arcivescovo maggiore di Kiev Sviatoslav Shevchuk, dai cattolici di rito latino ai protestanti che già festeggiano il Natale nel giorno “occidentale”. «È un segno di speranza che i cristiani intendono mandare – commenta il vescovo latino di Kharkiv-Zaporizhzhia, Pavlo Honcharuk –. Cristo nasce per tutti. E c’è bisogno di superare certe differenze che la gente non comprende. L’Ucraina ha necessità di comunione in un momento così drammatico. Ciò significa ritrovarsi intorno a valori e momenti condivisi. Poi saranno felici molte famiglie dove marito e moglie appartengono a confessioni diverse e dove non si festeggiava la solennità nello stesso giorno».

I soli esclusi dal “grande” Natale restano per scelta propria gli ortodossi della Chiesa del metropolita Onufrij che nei registri ufficiali viene definita «del patriarcato di Mosca». Appellativo rigettato dai vertici ecclesiali per i quali il Sinodo convocato tre mesi dopo l’inizio del conflitto ha preso le distanze dalla Russia e ha dichiarato l’indipendenza canonica. Finita nel mirino dello Stato con l’accusa di collaborazionismo, al centro di perquisizioni e arresti, rischia di essere vietata per legge se il Parlamento approverà in seconda lettura il provvedimento che vieta le organizzazioni religiose legate allo «Stato aggressore». Da Mosca, però, la Chiesa nel mirino non si è staccata quando c’era la possibilità di modificare la scansione dell’anno liturgico. «Il tempo dirà da quale parte sta la ragione – afferma il vescovo Honcharuk –. Certamente la Chiesa deve liberarsi dalle influenze politiche. Se non lo fa o se permette che la politica detti la sua agenda, tradisce la missione che il Signore le ha affidato».

Un ulteriore schiaffo alla comunità di Onufrij arriva dal presidente Zelensky: insieme al governo ha deciso che dal 2024 il 7 gennaio, giorno del Natale di Mosca, non sarà più festivo. In realtà già dal 2017 lo Stato aveva previsto l’opzione del doppio Natale: sia il 25 dicembre, sia il 7 gennaio. Ma, sotto la spinta della maggioranza delle Chiese cristiane, ha fissato per decreto un solo Natale: il 25 dicembre. Alle parrocchie, tuttavia, le Chiese lasciano ancora la facoltà di far slittare la festa al 7 gennaio. Consapevoli che non si possono cancellare costumi secolari, anche se la guerra ha stravolto la società ucraina e sta spingendo il Paese verso l’Europa dove sogna di entrare.