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Indonesia. Giacarta, sconfitto al voto Ahok ora rischia il carcere

Stefano Vecchia domenica 23 aprile 2017

Sono giorni di attesa in Indonesia per la sentenza della Corte della capitale Giacarta incaricata di giudicare l’accusa di blasfemia contro il governatore uscente Basuki Tjahaja Purnama, meglio noto con il suo nome cinese Ahok. Davanti a una pena che potrebbe arrivare a cinque anni di detenzione, il pubblico ministero ha chiesto venerdì «clemenza» per il leader di fede cristiana, proponendo una condanna a un anno di prigione e due anni di libertà condizionata. Una condanna comunque esemplare e se l’imputato attende di conoscere la propria sorte, le urne hanno già dato il loro verdetto, decretandone il probabile oblio politico.

Dal 2012 vice sot- to il governatorato di Joko Widodo prima che questi puntasse con successo alla presidenza nazionale nel 2014 e che lui gli subentrasse con ampio margine sui rivali, Ahok ha visto questo vantaggio cancellato nel voto del 19 aprile con la vittoria – per conteggi ancora ufficiosi – di Anies Baswedan, candidato islamista, ex ministro dell’Istruzione, che avrebbe raccolto tra il 55 e il 60 per cento delle preferenze. I risultati ufficiali di questa consultazione saranno noti a inizio maggio, ma al di là delle percentuali definitive, la sconfitta sarà non solo di Ahok ma anche del Partito democratico indonesiano per la lotta che lo ha candidato e del presidente Widodo, che si è astenuto da ogni intervento nella vicenda ma che perde ora un potenziale sostituto in grado di proseguirne le riforme oltre le presidenziali del 2019. Una sorte toccata forse non a caso a un cristiano di origini cinesi in quello che è il maggior Paese musulmano al mondo e dove sempre più l’insistenza su etnicità e fede rischia di diventare destabilizzante dopo essere stata centrale nei decenni post-indipendenza. La vicenda del governatore uscente inserisce un forte elemento di destabilizzazione nel Paese, segnalando i rischi per le minoranze davanti all’assedio dell’islamismo che cerca di prendere il controllo dell’immenso arcipelago e introdurvi la piena applicazione della sharia.

Un tentativo che miscela rivendicazioni, imposizione e ricatto utilizzando anche l’arma dell’accusa di blasfemia già sperimentata altrove con effetti de- stabilizzanti. Strumentalizzando una sua dichiarazione in risposta alla pretesa di un rivale che un Paese islamico non può essere governato da un non musulmano, gli estremisti del Fronte dei difensori dell’islam fiancheggiati da gruppi eredi dell’ancien régime conservatore e di settori delle forze armate, hanno condotto per mesi una campagna di diffamazione personale e di delegittimazione politica contro Ahok. Imponendo alla capitale massicce manifestazioni che le forze di sicurezza hanno contenuto ma che hanno messo alle corde autorità e magistratura, costringendo le prime a autorizzare l’imputazione e la seconda a aprire un procedimento giudiziario su prove inconsistenti.