La visita. Genocidio in Ruanda. Macron a Kigali ammette: «Responsabilità francesi»
È giunto ieri a Kigali, presso il più importante memoriale del genocidio ruandese del 1994, per dire questo: «Tenendomi, con umiltà e rispetto, al vostro fianco, in questo giorno, vengo per riconoscere l’entità delle nostre responsabilità». Oltre un quarto di secolo dopo l’immane tragedia, il presidente francese Emmanuel Macron ha impiegato ieri parole che nessun altro suo predecessore aveva osato proferire. Nel quadro della spirale genocidaria, dunque, Parigi non si è limitata a commettere i «gravi errori» già ammessi nel 2010 da Nicolas Sarkozy, l’altro capo dell’Eliseo partito per un viaggio di riparazione in Ruanda rivelatosi poi infruttuoso. E questa volta, il presidente ruandese Paul Kagame ha mostrato d’apprezzare il «discorso potente» di Macron, perché «le sue parole hanno più valore delle scuse, sono la verità». Nel complesso, ha subito commentato Kagame, si è trattato d’un «atto d’enorme coraggio».
Giungendo a Kigali anche con 100mila dosi di vaccino anti-Covid, consegnate nel quadro del piano Covax lungo l’asse Nord-Sud del mondo, Macron ha dunque deciso alla fine di non imitare i vertici del Belgio che fin dal 2000 avevano presentato scuse esplicite. Ma il capo dell’Eliseo non si è rifugiato dietro circonlocuzioni fumose, poiché ormai «la Francia riconosce la parte di sofferenze che ha inflitto ai ruandesi». Il che non significa, ha precisato Macron, che ci sia stato sangue innocente ruandese direttamente versato da effettivi francesi complici dei massacri.
Le ammissioni di Macron sono state affiancate da una promessa politicamente decisiva, sullo sfondo del doloroso e aspro contenzioso che aveva fin qui avvelenato le relazioni bilaterali: «Riconoscere questo passato è pure e soprattutto proseguire l’opera di giustizia. Impegnandoci affinché nessuna persona sospettata di crimini di genocidio possa sfuggire alla giustizia». Parole, queste, che alludono chiaramente al destino di quegli “esuli” ruandesi in Francia additati da tempo da Kigali per il loro ruolo nei massacri. Rispetto alla clemenza dimostrata fin qui da Parigi nei loro confronti, potrebbe dunque ben presto scattare un giro di vite politico-giudiziario all’insegna dei conti ancora da saldare con la storia.
Per suggellare la prospettiva d’una normalizzazione delle relazioni bilaterali, ormai apparentemente a portata di mano, Macron ha pure annunciato ieri l’imminente nomina d’un nuovo ambasciatore in Ruanda, un posto rimasto vacante dal 2015 sullo sfondo della fase più tempestosa nelle relazioni fra i due Paesi. La svolta è giunta dopo un lungo e delicato lavoro diplomatico di riavvicinamento che ha fatto ampio uso pure del lavoro degli storici. Uno di loro, il francese Vincent Duclert, ha presieduto un gruppo di lavoro voluto dall’Eliseo per esplicitare il perimetro delle responsabilità francesi. A fine marzo, ne era scaturito un rapporto dettagliato (di 1.200 pagine) pronto a considerarle «pesanti e schiaccianti». E il lavoro di ricerca della verità proseguirà, ha promesso Macron, riferendosi alle residue zone d’ombra circa la politica filo-hutu della Francia del presidente François Mitterrand.
Fra le associazioni di sopravvissuti del genocidio, come ad esempio “Ibuka” rappresentata da Egide Nkuranga, si sono tuttavia levate proteste per l’assenza di scuse da parte francese. Ma al contempo, le parole di profondo rispetto di Macron anche verso "il silenzio di più d’un milione" di vittime non sono cadute nel vuoto. La posizione del capo dell’Eliseo avrà prevedibilmente ricadute pure nel più ampio dibattito mai chiuso sulla geopolitica post-coloniale francese nel continente africano, ancor oggi additata anche da associazioni e studiosi transalpini. Un fronte su cui molti continuano a invocare verità.