Gaza. Usa: «Gran parte degli ostaggi sono morti». La rappresaglia dell’Iran «imminente»
Il conto alla rovescia era scattato da giorni. Ma ieri l’accelerazione per una rappresaglia di Teheran è diventata certezza. «Se il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite avesse condannato il riprovevole atto di aggressione del regime sionista contro la nostra sede diplomatica a Damasco e avesse poi assicurato alla giustizia i suoi autori, l’imperativo per l’Iran di punire questo regime canaglia avrebbe potuto essere evitato». Questa la dichiarazione della missione di Teheran al Palazzo di Vetro. Nei fatti, il definitivo annuncio di una reazione armata. Parole che arrivano quando da Gaza giunge una voce senza smentite: «Hamas avrebbe perso le tracce di gran parte degli ostaggi israeliani». Secondo l’intelligence Usa, citata dal Wall Street Journal, «gran parte degli ostaggi potrebbero essere morti». Travolti dai bombardamenti o uccisi dai miliziani.
Tra caos informativo e tensioni negoziali, intanto la posizione di Teheran non lascia presagire una decompressione. L’uccisione di 7 alti ufficiali iraniani nella rappresentanza diplomatica in Siria da parte di droni attribuiti a Israele, da giorni aveva messo in fibrillazione le cancellerie. Le ambasciate in Israele hanno già approntato piani d’emergenza per il proprio personale, in caso di attacchi di matrice iraniana, mentre dalla Russia di Putin fino a Washington si sta tentando di invitare ad azioni «misurate». La ritorsione non è più solo una eventualità. «I segnali che abbiamo vanno tutti in quella direzione – ha confermato ad Avvenire una fonte di intelligence a Gerusalemme –, e Teheran ha a disposizione molte opzioni, ma quasi nessuna di esse può scongiurare un allargamento della crisi militare e potrebbe voler correre il rischio di una escalation colpendo direttamente il territorio o gli interessi israeliani». La compagnia aerea tedesca Lufthansa, che inizialmente aveva sospeso i voli per Teheran per la sola giornata di ieri, ha prolungato lo stop fino a domenica, riservandosi ulteriori decisioni.
A Gerusalemme l’eventualità di un attacco è affrontata con fatalismo. L’esercito assicura di essere pronto ad ogni evenienza. Ma dopo essersi fatti prendere di sorpresa da Hamas con l’aggressione del 7 ottobre, non tutti hanno fiducia nella capacità di affrontare nuove minacce. Diffidano sono specialmente i parenti dei 133 ostaggi non ancora tornati indietro. Timori accresciuti dopo che da Gaza fonti locali hanno fatto sapere che Hamas non avrebbe più notizie della gran parte dei sequestrati. Nei giorni scorsi si parlava di 40 civili israeliani spariti. Forse nelle mani di fazioni minori, oppure uccisi durante i bombardamenti. Le azioni di Israele e l’incertezza sulla sorte degli israeliani trascinati nei nascondigli della Striscia, complica il lavoro dei negoziatori di Stati Uniti, Egitto e Qatar, che non hanno ancora trovato un’intesa per il rilascio dei sequestrati e un cessate il fuoco duraturo. Anche media israeliani confermano attraverso loro fonti, che dei 133 ostaggi dati per ancora per prigionieri di Hamas, solo un piccolo gruppo potrebbe essere sopravvissuto alla guerra e alle uccisioni mirate. «Speriamo che dopo la morte dei figli di Haniyeh, Hamas non ponga condizioni più dure», hanno commentato i rappresentanti del Forum delle famiglie degli ostaggi. Il raid è avvenuto due giorni dopo il licenziamento di due agenti israeliani accusati di avere commesso errori di valutazione e di violazioni delle procedure operative nel corso del deliberato attacco contro gli operatori di World Central Kitchen, l’organizzazione umanitaria americana che aveva ottenuto garanzie di incolumità per le proprie operazioni a Gaza.
Fonti vicine al governo israeliano fanno sapere che le forze armate (Idf) non avrebbero informato il governo dell’operazione mirata sui figli di Haniyeh. Con l’intensificarsi delle operazioni militari su Gaza i leader di Hamas che vivono fuori dalla Striscia, e in particolare proprio Haniyeh, hanno affrontato critiche crescenti tra i palestinesi e in tutto il mondo arabo per aver scelto di stare al sicuro, fuori dal conflitto, mentre la popolazione di Gaza deve fare i conti con la crescente devastazione. Più volte erano state raccolte le lamentele di chi, intrappolato nella Striscia, aveva scoperto che invece diversi parenti della leadership di Hamas avevano ottenuto un lasciapassare per abbandonare Gaza. Ma l’uccisione di tre figli e tre nipoti del capo politico dell’organizzazione ha ribaltato questa percezione. Mezz’ora dopo il mirato raid israeliano Haniyeh ha parlato dei suoi familiari come «martiri» il cui sangue «non è più caro di quello del popolo palestinese». Un «sacrificio», come viene definito da molti sfollati nella Striscia, che al contrario ha rafforzato l’immagine di Haniyeh. Un boomerang sul governo di Gerusalemme che così facendo ha dato una mano proprio ad Haniyeh, fatto passare per un leader che non concede privilegi neanche ai suoi eredi. Argomenti che da queste parti hanno una presa trasversale non solo sui palestinesi della Striscia, ma in buona parte del mondo arabo proprio mentre si completavano i 40 giorni del Ramadan, il tempo del digiuno e del sacrificio.
A quasi ventiquatr’ore dall’attacco il governo israeliano ha deciso di non assumersi la responsabilità diretta dell’accaduto, sostenendo che si sia trattata di una decisione autonoma dell’esercito e dello Shin Bet, il servizio segreto per gli affari interni. Uno scaricabarile che non facilita le negoziazioni mentre tutti attendono di capire come e quando l’Iran metterà piede in guerra.