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L'emergenza fame. Perché paracadutare gli aiuti a Gaza non è la soluzione

Anna Maria Brogi sabato 2 marzo 2024

Un aereo militare lancia pacchi di aiuti con il paracadute nel cielo di Gaza

Sicuri, veloci, non possono essere assaltati né saccheggiati e riescono ad arrivare in luoghi non raggiungibili via terra. Gli aerei sembrerebbero la soluzione migliore per consegnare gli aiuti umanitari in zone di guerra. Dopo la strage degli affamati a Gaza City - dove giovedì all'alba oltre cento palestinesi sono morti e centinaia rimasti feriti in seguito all'assalto di un convoglio di camion che trasportava farina davanti agli occhi (da accertare se anche agli spari) dei soldati israeliani - lo stesso presidente Joe Biden ha promesso che gli Stati Uniti paracaduteranno gli aiuti dal cielo. Una modalità già attuata da Egitto, Giordania ed Emirati Arabi Uniti, che da settimane con voli militari sganciano pacchi di beni di prima necessità donati anche da altri Paesi arabi, Gran Bretagna e Francia sul nord della Striscia di Gaza isolato da tutto e terra di nessuno, dove i 300mila rimasti rischiano di morire per fame.

Verrebbe da obiettare: perché non aver messo in atto prima questa modalità di consegna, invece di affidarsi alle centinaia di tir che quotidianamente si mettono in coda ai valichi meridionali della Striscia, dopo aver caricato nei magazzini egiziani di al-Arish vicino a Rafah, e attendono di essere ispezionati dai militari israeliani prima di affrontare il rischioso viaggio verso nord, esponendosi agli agguati di bande armate e al rischio degli assalti da parte dei civili che non sanno come sfamare le famiglie?

In realtà, quella degli aiuti paracadutati non è la soluzione al problema, ma solo un palliativo o un tentativo di rimedio estremo e temporaneo in situazioni disperate. Vediamo perché.

La quantità degli aiuti è insufficiente a soddisfare i bisogni. Un volo militare riesce a portare un carico paragonabile a quello di un camion o al massimo due. Ovvero una quantità minuscola rispetto alle necessità di centinaia di migliaia di persone che mancano di tutto. Per nutrire la popolazione di Gaza, pari a 2,3 milioni di persone - in un territorio dove le infrastrutture sono state distrutte, non si coltiva e non si alleva, non si compra e non si vende se non (troppo spesso) gli stessi aiuti internazionali al mercato nero - servono ogni giorno migliaia di tonnellate di cibo e acqua, oltre a beni di prima necessità come sapone, pannolini e medicinali di base. Ormai i camion portano essenzialmente farina, il minimo necessario per la sopravvivenza. Non è immaginabile un ponte aereo in grado di paracadutare ogni giorno le stesse quantità di beni trasportabili da centinaia e centinaia di camion. Un funzionario statunitense ha ammesso che i pacchi paracadutati «non sono che una goccia d'acqua nell'oceano» dei bisogni dell'enclave.

Il costo della consegna è esorbitante. Anche ipotizzando che un aereo possa trasportare l'equivalente del carico di due camion, il costo è dieci volte superiore, ha detto alla Bbc Jeremy Konyndyk, presidente della Ong Refugees International.

I lanci non sono controllabili. Gli aerei sganciano i pacchi in quota, facendoli cadere con il paracadute. I carichi vengono quindi affidati al vento senza possibilità alcuna di controllo. È accaduto più volte di recente che gli aiuti fatti cadere sul nord della Striscia da aerei giordani o egiziani siano finiti in mare o addirittura oltre il confine israeliano. Le autorità dello Stato ebraico hanno dovuto avvertire i cittadini tranquillizzandoli sul fatto che i pacchi non costituivano un pericolo.

L'impatto può essere letale. È già successo in Africa, hanno denunciato diverse Ong, che le pesanti casse in legno in cui gli aiuti vengono imballati abbiano schiacciato a morte chi correva verso il luogo dove presumibilmente sarebbero caduti. Un rischio notevolmente aumentato in un territorio ad altissima densità abitativa come quello della Striscia.

Per questi motivi le organizzazioni umanitarie sostengono che la soluzione migliore sarebbe che Israele aprisse i valichi di frontiera e consentisse ai convogli di camion di entrare e distribuire gli aiuti in completa sicurezza.

«Gli operatori umanitari si lamentano sempre che i lanci dagli aerei sono una buona opportunità fotografica ma un pessimo modo per fornire aiuti», commenta Richard Gowan, direttore delle Nazioni Unite dell'International Crisis Group.

Scott Paul di Oxfam America ha scritto su X che i lanci di aiuti «servono principalmente a ripulire la coscienza sporca degli alti funzionari statunitensi le cui politiche stanno contribuendo alle atrocità in corso».

L'Onu: mille camion in fila al confine egiziano

«I lanci con il paracadute sono estremamente difficili, ma tutte le opzioni sono sul tavolo», osserva Stephane Dujarric, portavoce del segretario generale dell'Onu Antonio Guterres. «Piuttosto che lanciare cibo dal cielo, dovremmo esercitare una forte pressione sul governo israeliano affinché permetta la distribuzione degli aiuti attraverso canali più tradizionali, che consentono di fornire aiuti su scala più ampia». Sempre secondo l'Onu, quasi mille camion aspettano di entrare a Gaza al confine egiziano.

Rischio carestia. «Già morti di fame e sete dieci bambini»

Il portavoce dell'Ufficio delle Nazioni Unite per il coordinamento degli affari umanitari (Ocha), Jens Laerke, sostiene che «gli aiuti che arrivano in questo modo possono essere solo l'ultima risorsa: la consegna via terra è migliore, più efficiente e meno costosa». E denuncia: «Se non cambia nulla, la carestia è quasi inevitabile».

Stando al ministero della Sanità di Hamas, già dieci bambini sono morti di «malnutrizione e disidratazione».