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Gaza. Israele: «Avanti su Rafah». I carri armati circondano la zona est

Anna Maria Brogi venerdì 10 maggio 2024

Palestinesi in fuga da Rafah

Avanti su Rafah. La minaccia del presidente americano Joe Biden di bloccare la consegna di bombe pesanti non è riuscita a fermare l’operazione militare israeliana contro l’ultima città ancora in piedi della Striscia di Gaza. Il gabinetto di sicurezza del governo di Benjamin Netanyahu ha approvato all’unanimità l’espansione dell’offensiva di terra. Secondo due delle tre fonti sentite dal sito statunitense Axos si tratterebbe di un’«espansione limitata», ma la terza ammette che Washington potrebbe interpretarla come un superamento della linea rossa. I carri armati, entrati dal confine orientale, hanno esteso il controllo lungo l’arteria che taglia Rafah da nord a sud, circondando la parte est della città. La stessa della quale le Forze di difesa avevano chiesto lunedì l’evacuazione. Sarebbero 110mila i palestinesi partiti, mentre altre migliaia si accingono a farlo.

«Alla periferia di Rafah abbiamo visto scene di caos – testimonia Rachael Cummings, team leader di Save the Children a Gaza –. Le strade erano piene di veicoli, con gente ammassata sui camion e bambini in cima ai carretti trainati da asini dov’erano ammucchiati gli averi di famiglia. Abbiamo visto intere vite stipate nella parte posteriore di un’auto o di furgoncini. C’era chi camminava portandosi addosso di tutto. Dappertutto bambini, che correvano per restare al passo». Da Rafah se n’è andato anche il personale dell’Ong, trasferitosi a Deir al-Balah, a nord dell’area costiera «umanitaria» di al-Mawasi indicata dagli israeliani come alternativa alla città distrutta di Khan Yunis. «Al-Mawasi è gremita – riferisce Cummings –. Non c’è più spazio. Non si riesce a dare assistenza né acqua, né servizi igienici. Fa caldo, mosche ovunque. Nulla è pulito, nulla è sicuro, ma la gente crede di lasciarsi alle spalle qualcosa di peggiore. I bambini sono sconvolti». «Mentre attraversavamo Deir al-Balah – prosegue – abbiamo visto persone cercare uno spazio qualsiasi per allestire un riparo. Alcuni costruivano con legno e teloni, altri piantavano tende. È un posto terrificante per i piccoli: piangevano e urlavano, sopraffatti dal panico».

A preoccupare gli operatori umanitari è la chiusura dei valichi di Rafah e di Kerem Shalom, dai quali fino al 5 maggio entrava la maggior parte degli aiuti. Da quando l’esercito controlla il lato palestinese del valico di Rafah, i convogli sono fermi in attesa sul lato egiziano. «Questi sono camion frigorifero: se c’è un guasto, il cibo si rovina» lamenta con la Reuters il camionista Ahmed al-Bayoumi. «Qui non ci sono tecnici. In qualsiasi Paese i camion frigo hanno la priorità». In aprile dai due valichi erano entrati in media 189 camion al giorno. Ora la situazione allarma l’Onu. «Siamo impegnati con tutti i soggetti coinvolti perché riprenda l'ingresso di forniture salvavita, compreso il carburante disperatamente necessario», informa il segretario generale António Guterres. Un massiccio attacco di terra a Rafah, avverte, «metterebbe fine ai nostri sforzi per sostenere le persone».

Poco lontano, si combatte: testimoni hanno riferito di «esplosioni e sparatorie quasi costanti nell’est e nel nord-est di Rafah». Secondo il Times of Israel, Hamas avrebbe teso un’imboscata ai blindati vicino a una moschea, in area urbana. Il direttore generale dell’Organizzazione mondiale della sanità, Tedros Adhanom Ghebreyesus, comunica che «due giorni fa, tra gli intensi raid a Rafah, è stata distrutta la casa di un membro dello staff dell’Oms, rimasto ferito assieme alla moglie e a un figlio. Uccisa sua nipote di 7 anni». «I proiettili di carro armato cadono ovunque» riferisce alla Reuters Abu Hassan, 50 anni, che abita nel quartiere occidentale di Tel al-Sultan. «Sto cercando di andarmene, ma non ho 2.000 shekel per comprare una tenda per la mia famiglia».

Si combatte anche al Nord, da dove Hamas non è stata estirpata. Quattro soldati di 19 anni sono rimasti uccisi e altri due feriti nel quartiere Zeitun di Gaza City, dove l’esercito ha fatto irruzione «in una scuola dove sono state trovate armi, inclusi fucili d’assalto». Sale così a 271 il numero dei militari caduti. Sarebbero quasi 35mila i palestinesi uccisi nel conflitto.

Nessuna vittima, ma il rischio è stato serio, nell’attacco incendiario contro la sede dell’agenzia dell’Onu per i rifugiati palestinesi (Unrwa) a Gerusalemme Est. Dentro c’erano diversi dipendenti quando, giovedì sera, coloni estremisti hanno appiccato un rogo che ha causato danni ingenti alle aree esterne dove si trova anche un distributore di benzina. «Il direttore ha dovuto spegnere l’incendio da solo, perché vigili del fuoco e polizia hanno impiegato del tempo ad arrivare», denuncia il commissario generale dell’Unrwa Philippe Lazzarini. «Fuori, una folla accompagnata da uomini armati cantava “Brucia le Nazioni Unite”». L’Unione Europea ha condannato fermamente l’attacco.