Tragedia dell'immigrazione. Quel bimbo senza carezze, congelato nell'aereo
Choc stamattina all'aeroporto di Roissy Charles de Gaulle
Nell’alba ancora buia di Parigi, alle 6 e 40, gli operatori dell’aeroporto Charles de Gaulle hanno trovato ieri nel carrello di un Boeing 777 dell’Air France appena atterrato da Abidjan, Costa d’Avorio, un fagotto irrigidito dal gelo. Era un bambino nero, sui dieci anni. Si era evidentemente arrampicato di nascosto sulle ruote dell’apparecchio, credendo di arrivare in Europa. Succede, che dal Terzo Mondo qualcuno tenti questa strada per fuggire, e che lo si ritrovi all’atterraggio stroncato dal freddo e dalla mancanza di ossigeno. Che a farlo fosse un bambino di dieci anni, però, non era ancora accaduto. Un «passeggero irregolare», si legge in un comunicato della compagnia aerea: che spiega l’accaduto con una «falla nella sicurezza» dello scalo ivoriano.
Ma molto più di questo occorre per cercare di immaginare come un bambino possa tentare un’impresa così disperata e spaventevole. Il piccolo morto di Roissy non aveva documenti, e fino a tarda sera non era stato identificato. Nemmeno sui siti dei media ivoriani ci si chiede come si chiamasse, o da dove venisse, quel ragazzino. Come se il suo nome non fosse importante, come fosse solo uno fra i tantissimi che abbandonano la Costa d’Avorio, o almeno ci provano. Da quel Paese alle coste della Libia ci sono 5mila chilometri. I migranti, convinti dai trafficanti, su camion sovraccarichi traversano il Niger e la frontiera libica. Li attende un viaggio massacrante, fra dazi, mercanti di schiavi, e violenze, e sete, e polvere. Chi arriva alla meta affronterà le prigioni libiche, e le insidie del mare.
Chi fallisce torna in patria: racconterà che un pezzo di quella strada viene chiamata “la via dell’inferno”. Forse è ascoltando nelle baraccopoli questi resoconti che qualche ragazzo immagina di nascondersi nel carrello di un aereo? Sognando di volare sul deserto e sul Mediterraneo, e di toccare terra poche ore dopo, nel cuore dell’Occidente. Ci hanno provato già, da diversi Paesi. Non sapendo che a 7mila metri di quota ci sono 50 gradi sottozero, e non si respira. Già a Londra, a Parigi, in Germania sono stati trovati nei carrelli dei ragazzi assiderati. Ma a dieci anni appena, come si arriva a tanto di audacia? Forse imitando degli amici più grandi ? (Anche se nessuno, di chi ci abbia provato, ha più dato notizie di sé). O forse, quel bambino senza nome non voleva fuggire, ma raggiungere qualcuno di molto caro. Un padre in fuga da un Paese dove in quattro su dieci vivono sotto la soglia della povertà, malgrado nelle viscere della Costa d’Avorio ci siano oro, diamanti, bauxite, e ogni ricchezza. Oppure, quel bambino inseguiva una madre sedotta dai trafficanti, in cerca di un poco di fortuna (le giovani ivoriane finiscono con drammatica frequenza nella tratta della prostituzione). Ecco, forse a dieci anni il coraggio di nascondersi sotto il pauroso ventre di un aereo, di tenersi stretti nel rombo del decollo, e chiudere gli occhi per non guardare giù, lo si trova solo per andare a ritrovare la carezza perduta di una madre.
Poi, quando l’apparecchio ritira il carrello e nel vano del clandestino si fa buio, forse un bambino, sfinito, si addormenta. Felice: ce l’ho fatta, si dice. Si accorge del freddo che comincia a avvolgerlo, ma non lo riconosce, abituato al sole in cui è nato. Cosa sarà, questo manto attorno che morde, e paralizza il corpo? Così lontano dal calore di quelle braccia, di cui ha nostalgia. Poi il sonno dell’assideramento, rapido, vince. È rigido come un povero passero morto, il bambino senza nome, quando il Boeing scende sulle infinite luci di Parigi. La grande metropoli certo non si fermerà per questo. Non è la prima volta, che un clandestino del cielo perde la vita. Ma questo – lo diranno gli operai del Charles de Gaulle a casa, a tavola, incapaci di dimenticare – questo, era solo un bambino.