Il viaggio / 3. Libano, il riscatto delle donne comincia dall'arte del cioccolato
Beirut, Libano. Hali Karam fa parte del progetto “Punto Missione” che l’ha aiutata a comprare tutto il necessario per iniziare a produrre cioccolato. (foto Arianna Pagani)
A fianco di una umanità ferita e sempre in fuga da una guerra o da un genocidio. Un viaggio nel Libano di 4 milioni di abitanti che accoglie quasi 2 milioni di profughi. Uno sguardo su chi ha dovuto ricominciare da zero avendo lasciato in Siria o in Iraq tutto e spesso anche il marito, o il padre o un fratello: per questo è una speranza soprattutto al femminile. Donne che sanno educare o che si inventano piccole imprenditrici per strappare un sorriso ai loro figli. Un viaggio per conoscere chi, dopo il clamore dell'emergenza, lavora con loro per "essere umani con gli esseri umani".
Donne, di una classe media libanese in naufragio, che imparano a forza l’arte di restare a galla. Una storia scritta in cucine di una piccola borghesia dove non manca il microonde sulla mensola, ma che non riesce a scaldare il cuore e forse nemmeno tante vivande, quando un affitto da 500 dollari al mese prosciuga di un terzo lo stipendio del marito che entro tre o quattro anni andrà in pensione: “Qui in Libano significa avere solo il diritto all’assistenza medica statale, ma non a una rendita mensile”. Ora Haly non deve più pagare i circa 10mila dollari l’anno per l’università della figlia – tanto costa una istruzione superiore decente – che nonostante un master in lingue, con la crisi economica, non trova ancora lavoro. “Mi è sempre piaciuto lavorare e, come estetista, ho già delle clienti”. Ma non basta. E con l’incertezza politica e la crisi esplosa con l’arrivo dei profughi siriani “se ti capita qualcosa non sei più sicuro di nulla”.
Così Haly, gli occhi azzurri vivacissimi fra simpatiche rughe da apprendista cinquantenne, oltre che a confezionare bigiotteria da proporre alle clienti, si è inventata cioccolataia. Un corso proposto un anno fa da Punto Missione ai membri del Movimento ecclesiale carmelitano la scintilla che ha acceso energie e creatività. Il risultato immediato sono dei cioccolatini all’arancio inventati da Haly, rielaborando la ricetta del maestro cioccolataio.
La concorrenza di marchi pregiati e di vetrine scintillanti può scoraggiare molti, ma non Haly che a Pasqua ha fatto il suo primo banchetto alla fiera davanti alla parrocchia di Notre dame al quartiere Fanar.
Per Hiam il cioccolato è quasi una ultima spiaggia, dopo che una malattia cardiaca l’ha costretta a chiudere una decina di anni fa il forno per il manouché, un dolce tipico con formaggio e timo. Anche il marito era pasticcere mentre ora come fattorino di una industria di cancelleria guadagna l’equivalente di 900 dollari al mese e 600 se ne vanno già per l’affitto. Solo una dei quattro figli è sposata, mentre gli altri hanno lavori precari per pagarsi gli studi. “Mai una gita, mai un vestito nuovo”, ti dice mesta mentre scioglie le scaglie di cioccolato nella pentola.
L’ampio salone-veranda di Giselle, nella casa sopra la pompa di benzina del marito, a Raachine, una trentina di chilometri da Beirut a 1.300 metri di altezza, da quattro mesi si è trasformato in una esposizione per cesti di Natale o bomboniere per le prime comunioni. Con un prestito in banca di 3.500 dollari ha comprato l’attrezzatura e il materiale e nei giorni di festa con l’aiuto di una figlia inventa nuovi cioccolatini e confezioni regalo. Un figlio lavora per pagarsi gli studi mente la pompa di benzina in un paesino di montagna non è certo un affare. Così il lavoro di Giselle come ispettrice di vendite per una ditta di alimentari garantisce solo 700 dollari al mese. Un doppio lavoro è una necessità, ma ancora mancano i clienti.
“Helem” in arabo significa sogno. Quello di Giselle, e te lo dice con un sorriso davvero luminoso, è di potere un giorno aprire un negozio. Sui suoi cioccolatini Giselle ha messo un logo, pure questo inventato da lei: “La clè du ciel”. La chiave del cielo per aprire la porta di un dolce riscatto.