Lunedì. Le Filippine al voto, ma restano in ostaggio del passato e dei grandi interessi
Outsider. “Leni” Robredo, 57 anni, vicepresidente uscente da sempre in disaccordo con le politiche roboanti e coercitive di Duterte. È sostenuta anche dalla Chiesa filippina
Dopo gli imponenti raduni e le kermesse popolari di ieri a Manila la giornata di domenica è nelle Filippine di riflessione in vista del voto di lunedì, 9 maggio. Una tornata elettorale che chiamerà 67,5 milioni di filippini a decidere di 18mila cariche a vari livelli ma soprattutto a indicare il presidente che sostituirà Rodrigo Duterte, alla scadenza del suo mandato quinquennale, e il nuovo vicepresidente.
Il candidato favorito alla massima carica dello Stato, Ferdinand “Bongbong” Marcos Jr, figlio maggiore dell’ex presidente-dittatore Ferdinand Marcos. Forte della riabilitazione del genitore operata da Duterte, per lui il “peso” storico delle responsabilità paterne si è trasformato in un’eredità da esibire con orgoglio, in questo appoggiato da famiglie e gruppi di potere in grado di garantirgli consistenti banche di voti. Sara Duterte Carpio, indirizzata alla vicepresidenza dal padre a cui la Costituzione ha impedito di ripresentarsi, può lucrare il forte sostegno popolare alle politiche del genitore: un populismo che miscela toni duri verso i responsabili dei “mali” del Paese e ovviamente gli oppositori, con le blandizie rivolte alla fasce più povere della popolazione.
In comune hanno segnalato l’intenzione di rilanciare l’economia nella post-pandemia, promuovere investimenti pubblici nelle infrastrutture e proseguire con la campagne contro criminalità e tossicodipendenza che sono costate a Rodrigo Duterte accuse di illiberalità e brutalità e anche un procedimento avviato dalla Corte penale internazionale.
In realtà, se l’impegno a «ripulire» il Paese è velleitario, anche per le molte sponde che lo stesso sistema politico fornisce a varie aree di illegalità, solo il prossimo futuro potrà confermare la resilienza dell’economia filippina con una popolazione di 110 milioni che vive per il 23,7 per cento in povertà e per il 64 per cento nell’insicurezza alimentare, in un contesto internazionale che si prospetta impervio e con rischi accresciuti di tensioni anche in aree prossime alle coste dell’arcipelago.
Incertezze locali e globali che poco hanno intaccato la consistente emigrazione filippina che lo scorso anno ha sfiorato i 30 miliardi di dollari di rimesse, ma che con la sua stessa entità evidenzia la fragilità del sistema-Paese. Con una dipendenza dall’estero per investimenti, crediti, appoggi militari e diplomatici che contribuiscono ad alzare il Pil, a rafforzare la Borsa e sostenere le speranze dei filippini.
A confrontarsi con il “ticket” Marcos-Duterte, è “Leni” Robredo, 57enne vicepresidente uscente da sempre in disaccordo con le politiche roboanti e coercitive di Duterte, che punta alla presidenza con l’impegno a limitare la corruzione e in generale per una politica meno compromessa sollecitando soprattutto, con il suo candidato-vice, il senatore “Kiko” Pangilinan, l’interesse dei giovani elettori. Penalizzata dai pronostici, Robredo – a cui è andato l’aperto sostegno di buona parte della società civile e della Chiesa – potrebbe però rivelarsi un outsider.