L'analisi. Ritorna quel «teatrino delle spie» che sa tanto di Guerra fredda
Lo scambio di documenti riservati fra un ufficiale della Marina militare italiana e il suo omologo russo colti sul fatto in un parcheggio di Roma non deve sorprendere più di tanto, nonostante l’evidente gravità dell’accaduto. Dall’epoca gloriosa di Mehmet l’Espion – figura leggendaria al tempo in cui la Serenissima era padrona del Mare Nostrum e regina della diplomazia europea – fino ai giorni dei “trolls” di San Pietroburgo che spiavano la posta elettronica di Angela Merkel, il possesso di informazioni riservate è la chiave di tutte le strategie, da quelle militari a quelle commerciali.
Già sul finire del XVIII secolo il principe Grigorij Aleksandrovi? Potëmkin, l’ambizioso braccio destro e amante dell’imperatrice Caterina aveva fondato la città di Odessa sul Mar Nero: un centro navale, commerciale e militare che rappresentava quello sbocco nei mari caldi che l’impero degli zar non aveva mai posseduto e che tuttavia era fortemente limitato dal passaggio obbligato attraverso i Dardanelli.
Oggi però le cose sono cambiate. Da quando è scesa in campo a fianco del satrapo Bashar al-Assad, la Russia di Putin si è guadagnata un posto al sole nel Mediterraneo assicurandosi le basi aeronavali di Tartus e Latakia: a tanto ammonta la cambiale incassata per aver sostenuto per dieci anni il regime di Damasco, cui si aggiungono gli accordi stipulati con l’Egitto di al-Sisi e con la Cirenaica controllata dal generale libico Khalifa Haftar. Il risultato è una presenza massiccia del naviglio russo nelle acque mediterranee quale mai si era vista prima. Da potenza eminentemente di terra, Mosca si è rivelata nazione in forte espansione sui mari. Solo pochi giorni fa l’intera flotta di sommergibili del Mar Nero si è prontamente schierata di fronte a quella della Nato impegnata nelle esercitazioni militari Sea Shield 21.
L’esibizione muscolare e la propensione al rischio da vecchio pokerista propria di Vladimir Putin (non si contano le punture di spillo al sistema difensivo della Nato, con i caccia Sukhoi che sorvolano il Baltico, quasi volesse testarne la capacità e la rapidità di reazione, cui si sono accompagnate vittoriose dispute territoriali, come l’annessione della Crimea, la creazione delle repubbliche del Donbass in Ucraina e gli interventi in Georgia, e Nagorno Karabach) hanno considerevolmente cementato la sua popolarità. Merito di una sapiente campagna mediatica che coniuga il nazionalismo panrusso con la nostalgia imperiale. Una cortina fumogena che ha impedito a gran parte dei russi di accorgersi che l’intera nazione scivolava giorno dopo giorno verso una democrazia sempre più autoritaria, complice l’oggettivo miglioramento delle condizioni economiche della nascente classe media.
Il che non toglie che già dall’epoca dell’amministrazione Obama Mosca sia stata declassata dagli Stati Uniti a potenza regionale, riconoscendo il ruolo di superpotenza all’unico vero avversario di Washington, la Cina. Non a caso Donald Trump per primo ne ha fatto il suo principale cavallo di battaglia. Ma proprio per questo, per il deteriorarsi della sua immagine internazionale e per l’oggettiva precarietà della sua economia la Russia di Putin risulta più pericolosa di quanto non fosse l’Unione Sovietica di Breznev, quando l’equilibrio nucleare fra Mosca e Washington garantiva una pace armata che nessuno aveva interesse a violare.
Oggi invece, di fronte a un palpabile ritorno ai cerimoniali della Guerra fredda riprende con vigore l’opaco teatrino delle spie, delle espulsioni simmetriche dei diplomatici, delle piccole e grandi sanzioni commerciali, dei veleni e pugnali per punire i dissidenti (il polonio per l’ex agente Litvinenko, il Novichock per il leader dell’opposizione Navalny).
Ma non di sole spie si avvale la penetrazione russa in Occidente. Anche lo Sputnik V, il famigerato vaccino anti-Covid prodotto dall’Istituto epidemiologico Gamaleya di Mosca, è un perfetto veicolo di propaganda politica che in Europa ha già ottenuto l’effetto che il Cremlino si prefiggeva, ovvero quello di dividere e disorientare l’opinione pubblica (esattamente come il discusso gasdotto Nord Stream 2): ufficialmente la Ue non intende per il momento dotarsene, ma Spagna e Italia potrebbero cominciare a produrlo in loco, mentre Francia, Germania ci stanno pensando. Nella guerriglia commerciale fra i giganti dei vaccini, Mosca si è inserita a pieno titolo. Come in quella sui segreti militari.
Forse non è un caso che Angela Merkel parli fluentemente il russo così come Putin (ex agente del Kgb a Dresda alla caduta del Muro) conosca perfettamente il tedesco: entrambi sono eredi di un’epoca – quella della Cortina di Ferro – che di fatto non è mai tramontata. Come peraltro si vede.