Stati Uniti. Fentanyl, l'offensiva dei narcos
I volti delle vittime del Fentanyl esposti nella sede della Dea
L’opinione pubblica internazionale se n’è accorta solo dopo che il j’accuse del dipartimento di Giustizia Usa contro i nuovi boss del cartello di Sinaloa ha spinto a indagare. Lungo la frontiera tra Messico e Stati Uniti, però, già tutti sapevano e da tempo. Soprattutto a Tijuana e Mexicali, città messicane affacciate sul Pacifico, a ridosso del confine con la California. Proprio per la posizione geografica favorevole e per il flusso di persone in transito – in gran parte illegali e, dunque, invisibili – sono state scelte come centro di sperimentazione a cielo aperto dall’organizzazione fondata da Joaquín El Chapo Guzmán, in cella a Florence, in Colorado, dal 2016 e ora in mano – almeno la parte principale – ai tre figli, Iván Archivaldo, Jesús Alfredo e Ovidio. I “narco-millennials“ hanno ristrutturato la multinazionale del crimine, aggiornando la produzione. Agli articoli classici – cocaina, eroina e marijuana –, hanno abbinato il Fentanyl, oppioide sintetico facile da realizzare grazie alle forniture di precursori chimici in arrivo dall’Asia, comodo da nascondere e molto richiesto nel mercato Usa. Oltre che estremamente letale: è cinquanta volte più forte dell’eroina. Proprio per questo, i narcos non la distribuiscono direttamente: rischierebbero di stroncare la “clientela” sul nascere. «La mescolano alle droghe usuali in modo da “abituare” il consumatore. Fino a quando la dipendenza cresce e solo il Fentanyl puro la placa. È così che creano il mercato e lo ampliano», spiega Víctor Clark, specialista sul tema dell’Università di San Diego. Trovare le combinazioni più appetibili richiede una sperimentazione. Ed è quanto Los Chapos, come sono chiamati i giovani boss stanno facendo nelle due città della Baja California. Ma anche, secondo alcune fonti, a Ciudad Juárez. I test procedono a ritmo accelerato a giudicare dall’incremento esponenziale dei dipendenti dalla parte messicana dove, a differenza degli Usa, nessuno conta i morti. «Nel 2018 erano almeno mezzo milione, un quarto degli abitanti, ora sono molti di più ma non sappiamo quanti a causa della mancanza di rilevazioni. Di certo, ci sono 76 centri di disintossicazione. Il mercato locale, dunque, è fiorente», sottolinea Clark.
I primi test del cartello di Sinaloa, in realtà, risalgono a quattro anni fa. Il dipartimento della Giustizia di Washington ha documentato il caso di una donna uccisa con tre dosi successive per vedere fino a quando il fisico poteva reggere. Esperimento poi ripetuto su giovani di vario peso e altezza, tutti deceduti. Ora il sistema è diventato la prassi con la distribuzione gratuita o a bassissimo prezzo delle pastiglie da provare nei quartieri marginali affollati di ragazzini senza presente né futuro. Una volta creata la domanda, i narcos procedono aumentando la quantità di Fentanyl contenuta nelle compresse preparate nei laboratori clandestini, spesso sotterranei. Le combinazioni migliori vengono poi esportate oltreconfine, dove i guadagni sono molto maggiori. Un chilo di precursore costa circa 800 dollari: con la sostanza di creano fino a 415mila dosi, del valore di tre dollari l’una sulla piazza di New York, per introiti complessivi superiore al milione al netto delle spese di trasporto. Gli invii seguono le direttrici più disparate. È stato proprio il Chapo a inventare i “narco-tunnel” tra Messico e Usa.
La quantità maggiore attraversa, però, il confine alla luce del giorno grazie alla capillare rete di corruzione di cui dispone l’organizzazione. Di recente, le autorità Usa hanno scoperto che uno dei funzionari notturni in servizio alla dogana tra Ciudad Juárez e El Paso – sbarrata per i richiedenti asilo – faceva passare 2mila pastiglie a turno. L’operazione “Ultimo miglio” dell’agenzia anti-droga Usa, i cui esiti sono stati rivelati ieri, ha dimostrato che la logistica viene portata avanti con una sofisticata di comunicazioni social criptate per la quale si avvalgono di informatici di entrambi i “lati”. Complicità Le tangenti non sono, dunque, solo una piaga messicana. Washington, però, punta il dito sul vicino il quale, su sua pressione, ha promesso di aumentare i controlli sui precursori in arrivo. Mentre il Congresso ha appena approvato la proposta del presidente Andrés Manuel López Obrador una norma che punisce con 15 anni di carcere chi lo importa. Il problema è che nel Paese l’impunità sfiora il 98 per cento. E i tentacoli dei narcos hanno da tempo scavalcato il confine.