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Intervista. Fassino: odio e paura si vincono con politiche di integrazione

Giovanni Grasso venerdì 9 gennaio 2015
«La tragedia di Parigi non riguarda solo la Francia, ma l’Europa e il mondo. Una sorta di relativismo culturale – secondo il quale il rispetto per le culture e le religioni altre può far finire in secondo piano la rivendicazione dell’universalità dei diritti umani – mostra chiaramente la corda. La convivenza di una società che sarà inevitabilmente sempre più multietnica, multiculturale e multireligiosa non può prescindere dall’affermazione di valori come la libertà, la democrazia, il pluralismo». Piero Fassino, sindaco di Torino e presidente dell’Associazione nazionale dei Comuni, è un convinto fautore dell’integrazione, che «comincia proprio dalle città». Ma che «di fronte a tragedie come quella di Parigi ha bisogno di un supplemento di impegno politico e culturale anche livello internazionale: i diritti dell’uomo devono essere proclamati e rispettati in ogni parte della terra, senza eccezioni».Dopo la strage di Parigi, la domanda dell’uomo della strada è se non siamo andati troppo avanti nell’apertura delle nostre frontiere...La globalizzazione, la sempre maggiore interdipendenza, i flussi migratori sono fenomeni epocali. La politica non può impedirli, ma deve saperli governare. Integrazione significa far sparire la paura: sia quella di chi arriva che quella di chi accoglie. Ma l’integrazione nella società non si forma spontaneamente: è un processo che va costruito. Senza un intervento deciso della politica, delle istituzioni, avviene l’esatto contrario: si alzano muri di diffidenza, si formano ghetti, si alimenta la paura reciproca, che poi sfocia nell’odio.L’integrazione è sufficiente o servono anche politiche di sicurezza?Integrazione e sicurezza sono le due facce della stessa medaglia. È chiaro che vanno messi in campo tutti gli strumenti di prevenzione, di intelligence, di repressione, per fare in modo di isolare i violenti, di fermare i potenziali terroristi, di sventare gli attentati. Ma per far questo dobbiamo esigere la collaborazione dei leader religiosi e dei capi delle comunità straniere presenti in Italia. Non solo si devono astenere da ogni forma di fanatismo o di predicazione dell’odio, ma devono incoraggiare il rispetto della legalità e, soprattutto, vigilare fattivamente sugli appartenenti al loro gruppo etnico o religioso. C’è un problema che va affrontato con forza: spesso le persone appartenenti alle comunità straniere, anche le più pacifiche e integrate, mostrano una certa remora nel denunciare comportamenti illegali e pericolosi dei loro compatrioti, anche se non li condividono. È un malinteso senso di appartenenza che finisce per renderli indirettamente complici. Questa ambiguità non può essere tollerata. C’è chi ora chiede di dire stop alla costruzione delle moschee. È d’accordo?Rispondo con le parole di suor Giuliana, una religiosa molto impegnata a Torino nella costruzione dell’integrazione. Lei dice che è meglio che si preghi il proprio Dio alla luce del sole, in strutture pubbliche e riconosciute, piuttosto che farlo di nascosto.<+NEROA>Altro slogan in voga: stop all’immigrazione straniera, respingiamo i barconi di profughi nel Mediterraneo... <+TONDOA>Fa comodo a qualcuno confondere le acque, mettendo nello stesso calderone immigrati stranieri regolari, immigrati irregolari (i cosiddetti "clandestini") e i profughi, che fuggono dai loro Paesi di origine a causa di guerre e violenze. Nessuno può pensare che la clandestinità sia un valore e non piuttosto un fenomeno illegale da fronteggiare, con misura e umanità. L’equazione "clandestino" uguale terrorista non è però accettabile. Stesso discorso per i barconi di profughi. Che facciamo? Li lasciamo affondare? Facciamo morire affogati donne e bambini? Ben diverso sarebbe cercare accordi con i Paesi di partenza dei barconi, per impedire che prendano il largo. Ma oggi i profughi partono in prevalenza dalla Libia, dove c’è una situazione di completa anarchia. E dunque occorre che la comunità internazionale e in primo luogo l’Unione Europea e abbiano una strategia che consenta alla Libia di ritrovare rapidamente una condizione di stabilità e di normalità.C’è anche ci dice che Islam e democrazia siano inconciliabili...La storia recente ci insegna che ci sono e ci sono stati Paesi islamici, penso alla Turchia, alla Giordania, alla Tunisia, che nonostante difficoltà e problemi hanno imparato a convivere con la democrazia e il pluralismo. Non c’è, insomma, una ragione costitutiva, "genetica", che impedisca all’Islam di fare i conti con la libertà e la democrazia. Il problema è che in molti Stati islamici non è avvenuto quel processo di secolarizzazione che abbiamo conosciuto nelle società occidentali da alcuni secoli a questa parte: quel processo che porta a distinguere l’ambito religioso da quello politico e statale. È un processo che va incoraggiato a livello internazionale con molta decisione: la dichiarazione dei diritti fondamentali dell’uomo è stata approvata da tutti i Paesi aderenti all’Onu. Bisogna però che siano fatti rispettare a ogni latitudine.Matteo Salvini "consiglia" a Papa Francesco di finirla con il dialogo interreligioso...È vero esattamente il contrario Il dialogo interreligioso è un elemento indispensabile in un processo di conoscenza reciproca che è alla base della comprensione, del rispetto e della convivenza.