È stata una campagna elettorale storica, quella conclusasi ieri negli Usa. E secondo molti analisti la sua portata va al di là del risultato uscito dalle urne. La corsa alla Casa Bianca del 2008 ha cambiato radicalmente il modo in cui i candidati si fanno conoscere dagli elettori e li convincono a votare per loro. Se Howard Dean, nel suo portentoso tentativo di vincere la nomination democratica nel 2004, scoprì il potenziale di Internet per raccogliere fondi e volontari, quest'anno Barack Obama (un po' meno John McCain) ha fatto decollare il mezzo, facendone il pilastro della sua campagna. La forza di BarackObama.com è stata infatti che, più ancora che fornire informazioni, le raccoglie. Chiede ai visitatori di fare domande, che ottengono puntualmente risposta in cambio di un indirizzo email e di un numero di cellulare. Li invita a mettersi in contatto con il loro ufficio "Obama for president" locale o a farsi mandare un elenco di elettori da chiamare al telefono. O a fare una donazione, promettendo magliette o un posto in prima fila al prossimo comizio del candidato. Internet non vuol più dire solo email, però. Sfruttando la popolarità di "Facebook" e degli altri network sociali virtuali, l'organizzazione del senatore dell'Illinois ha dato ai suoi sostenitori l'opportunità di creare reti di "amicizie" attorno al suo nome. Meno controllabile, ma altrettanto consequenziale, si è rivelata invece "YouTube", che non esisteva quattro anni fa. Sul sito di video fatti in casa dove chiunque può giocare al reporter della Cnn sono rimbalzate in tempo reale le gaffe più succose pronunciate dai candidati in un momento di stanchezza. La facilità con cui Obama ha raccolto contributi online, e la mole di donazioni piovute su di lui secondo alcuni osservatori ha anche segnato la fine del sistema di finanziamenti pubblici ai candidati, che limita la quantità di denaro che può essere spesa nelle operazioni elettorali. Accettando gli 84 milioni di fondi pubblici, McCain ha acconsentito a non spenderne di più, trovandosi pesantemente svantaggiato di fronte al fiume di dollari a disposizione dell'avversario, che ha rifiutato i finanziamenti pubblici (nonostante inizialmente si fosse impegnato ad usarli). Alla nascita dei blog si deve invece l'accelerazione del passo della campagna elettorale. «La disponibilità immediata di una quantità di informazioni un tempo inimmaginabile ha reso gli elettori più sofisticati e più scettici " spiega David Epstein, docente di scienze politiche alla Columbia University di New York ": il fatto però che molte di queste informazioni siano pettegolezzi o semplici bugie complica enormemente la vita degli staff dei candidati, che devono costantemente rispondere a una marea di illazioni che potrebbero diventare molto pericolose. Come le voci che Obama fosse musulmano o arabo, che continuano a vivere di vita propria su Internet nonostante i dinieghi dell'interessato». Ma oltre a essere ricordata come la prima giocata al suono dei click di milioni di mouse, la campagna elettorale 2008 verrà studiata paradossalmente anche per il suo ritorno alle origini. Dopo essersi affidati per vent'anni al prodigio della televisione, gli aspiranti presidenti hanno capito che gli americani erano stufi di spot "vota per me e non per quel (insulto) del mio avversario". E hanno riscoperto che solo il contatto faccia a faccia con gente come loro avrebbe conquistato i loro cinici e sfiduciati elettori. Proprio grazie a un'organizzazione capillare di volontari disposti a bussare a tutte le porte, i due rivali (ancora una volta, maggiormente Obama) hanno abbracciato la strategia "globale" promossa da Howard Dean, in un altro segno che l'attuale presidente del partito democratico aveva anticipato i tempi. Proibito quindi limitarsi a cercare consensi negli Stati fedeli al proprio schieramento, come hanno fatto Bill Clinton, i due Bush e John Kerry, nella speranza che i voti della base bastino a raggiungere la maggioranza relativa. E via invece a una campagna su 50 Stati, con affondi in territorio nemico. È così che Obama si è infiltrato in Stati rossi come l'Indiana e la Virginia. Ed è anche per questo che la presidenza degli Stati Uniti questa volta è costata quasi due miliardi e mezzo di dollari.