La guerra oscurata. Etiopia, spiragli di pace nel Tigrai. Abiy apre ai negoziati
Il primo ministro eletto Abiy Ahmed con la speaker del Parlamento Muferiat Kamil
Primi spiragli di pace in Tigrai dopo 15 mesi di una guerra civile cruenta e di un vero e proprio blocco degli aiuti umanitari con conseguenze catastrofiche. Il governo etiopico per la prima volta ha ufficialmente aperto a colloqui con il Fronte popolare di liberazione del Tigrai ( Tplf), partito che governa lo Stato regionale e che ha guidato l’Etiopia per oltre 25 anni, per porre fine al sanguinoso conflitto scoppiato a novembre 2020 e che ha causato migliaia di morti e milioni di sfollati interni. Nel novembre 2020 lo stesso Parlamento aveva messo fuorilegge il Tplf definendolo gruppo «terroristico». È stato lo stesso premier Abiy Ahmed ieri in Parlamento ad annunciare il cambio di linea facendo intendere che la guerra è superata.
Un discorso che segna la svolta: «Non ci può essere dialogo nazionale – ha detto il premier – senza coinvolgere tutte le parti. Nessuno può essere lasciato indietro. Finora non c’è stato dialogo con il Tplf, ma questo non vuol dire che non vi sarà nel futuro. Non c’è vittoria in una guerra civile. Se dialogare con il Tplf ci aiuterà a raggiungere la pace allora cercheremo il dialogo». Abiy ha smentito anche ci siano trattative già in corso tra governo e il partito tigrino: «Non ci sono ancora stati negoziati, anch’io ho sentito voci. Ma non ci sono stati finora. Questo non esclude la possibilità di discussioni».
Stando a quanto riportato dall’agenzia di stampa ufficiale etiope Ena, Abiy ha rimarcato la necessità di percorrere tutte le strade utili per garantire pace, stabilità, ma anche la sovranità del Paese: «Dal momento che investiamo i nostri soldi e sacrifichiamo le nostre vite per rafforzare l’Etiopia e garantire una pace duratura, è importante accettare i negoziati, reprimendo le nostre emozioni». Una presa di posizione in linea con le richieste della comunità internazionale e che arriva dopo che nei giorni scorsi il segretario generale dell’Onu Antonio Guterres aveva riferito di progressi per mettere fine al conflitto.
Nel suo intervento Abiy ha, però, ricordato che «la regione del Tigrai è parte del nostro Paese». E questo potrebbe essere un grosso ostacolo al dialogo. Nei giorni scorsi, infatti, il presidente del Tigrai Debretsion Gebremichael, in un discorso televisivo dal capoluogo Macallè, aveva posto tra le condizioni per avviare i colloqui di pace con il governo centrale proprio il riconoscimento del diritto all’autodeterminazione della regione settentrionale attraverso un referendum, come previsto dalla Costituzione federale. La guerra con il governo centrale, la distruzione e le stragi di civili compiute dall’esercito eritreo e dai droni federali oltre alla catastrofe umanitaria in corso, hanno rafforzato il sentimento indipendentista in Tigrai. Le altre condizioni poste dai tigrini sono il mantenimento delle forze di difesa regionali come esercito con le armi in dotazione, l’integrità dei confini territoriali dello Stato regionale (la cui parte occidentale è tuttora occupata dalle milizie Amhara e dall’esercito eritreo, ndr) come previsto dalla Costituzione, il ritiro delle forze armate eritree, la fine del blocco oltre alla cattura e al processo dei responsabili di crimini di guerra contro i civili.
Lunedì scorso il Parlamento di Addis Abeba aveva annunciato la creazione di una Commissione per il dialogo nazionale, composta da 11 membri, volta a presentare proposte utili a mettere fine alle tensioni tra gruppi etnici e politici del Paese e al conflitto nel nord. Sul fronte economico Abiy ha annunciato una riforma attesa dagli investitori stranieri, l’apertura del settore bancario etiope alla concorrenza. Nei prossimi giorni si capirà se alle parole distensive seguiranno veri colloqui di pace.