Africa. Etiopia, il silenzio calato sul Tigrai «sta uccidendo un intero popolo»
Due done piangono le vittime di un attacco aereo su un mercato del Tigrai, nel giugno 2021
Ancora una volta sono la diocesi di Adigrat e la solitaria voce dell’anziano missionario spagnolo Ángel Olaran a bucare il silenzio mortale e l’indifferenza internazionale che continuano ad avvolgere il Tigrai. Dal 4 novembre 2020, inizio del conflitto tra il governo centrale e le autorità tigrine, e nonostante le tregua umanitaria proclamata da Addis Abeba a fine marzo, il blackout continua.
Gli aiuti arrivano con il contagocce e le drammatiche immagini trasmesse da un documentario tedesco della rete satellitare Arté hanno confermato i tragici effetti del blocco. Mancano cibo e medicinali, gli ospedali sono allo stremo e ne stanno facendo le spese i bambini, le donne in gravidanza, le neo mamme e i malati.
Una tragedia causata, denunciano le autorità regionali tigrine, da mano umana con intenti genocidari dato che potrebbe aver causato quasi un milione di morti su una popolazione di sette milioni nel Tigrai.
Don Olaran nella lettera di denuncia scritta a Wukro, una delle città martiri del conflitto e pubblicata online, critica Onu, Ue e Unione africana per «l’indifferenza alle sofferenze del Tigrai» e per non fare nulla per forzare il governo del premier Abiy ad alleggerire le restrizioni.
Il sacerdote cattolico punta il dito in particolare sulle banche e i trasferimenti di denaro verso la regione. «In questo modo – prosegue don Ángel – chiese e organizzazioni umanitarie non sono in grado di accedere ai fondi per fornire l’aiuto necessario». Secondo Olaran suicidi e disagi mentali a causa della mancanza di cibo sono in aumento.
Gli ha fatto eco il consueto appello del segretariato diocesano cattolico di Adigrat alla comunità internazionale e a tutte le parti in conflitto per supportare l’aiuto umanitario e «dare voce alla popolazione perché possa avere accesso libero ai soccorsi garantendo il loro diritto alla vita».
In un’intervista alla Bbc il direttore del Programma alimentare mondiale per l’Etiopia settentrionale, Adrian van der Knaap, ha confermato che da aprile l’Onu ha raggiunto la metà delle persone che aveva in programma di aiutare, circa 1,1 milioni di tigrini su due milioni. Non più di 4.000 camion sono passati in quattro mesi dall’unico corridoio Semra-Macallè. Per Van der Knaap bisogna aprirne altri. Ha, però, aggiunto, che né etiopi né tigrini stanno fermando i camion in questo momento, ma l’aiuto è a suo giudizio «insufficiente».
E dai Paesi Bassi torna a far sentire la suo voce per fermare quello che chiama genocidio Gebremeskel Cassa. È il giovane funzionario di alto livello tigrino che ha fatto parte dal novembre 2020 a giugno 2021 dell’amministrazione ad interim nominata da Abiy Ahmed al posto del governo regionale allontanato da Macallè. Ma i massacri di civili e gli stupri ad Axum e nei villaggi rurali compiuti da esercito eritreo alleato degli etiopi, dai somali e dai federali e di cui è stato testimone lo hanno portato a denunciare il tentato genocidio prima e poi a chiedere asilo all’estero.
«Esprimo – denuncia Cassa – la mia profonda preoccupazione per i diritti umani e la catastrofe umanitaria che sta colpendo la popolazione del Tigrai. Quello che ho visto, le prove raccolte e il blocco perpetrato dall’Etiopia mi portano a concludere che sia in atto un genocidio». Senza contare, accusa Cassa, «che l’Etiopia ha consentito l’occupazione da parte delle truppe eritree di parti del territorio occidentale e orientale del Tigrai, in particolare quella abitata dalla minoranza degli Irob. Inoltre la guerra ha provocato 2.2 milioni di sfollati e la morte di quasi un milione di persone». Infine lancia un appello al governo italiano, che ha concesso un prestito di 22 milioni di dollari ad Addis Abeba, «perché faccia pressioni sul governo per fermare il genocidio».