Ma ha senso sperare ancora per la salvezza dei 200 eritrei in mano ai predoni del Sinai? Don Mosè Zerai non demorde, nonostante il caos che attanaglia l’Egitto: «Il momento è drammatico – dice – ma se il paese si avvierà verso un nuovo assetto democratico, la questione dei profughi e dei diritti umani potrebbe trovare finalmente ascolto». Il sacerdote eritreo, direttore dell’Agenzia Habeshia, è in prima fila, fiaccola in mano, alla manifestazione indetta ieri sera sulla scalinata del Campidoglio. Un momento intenso di solidarietà, per tenere alta l’attenzione sulla tragedia di centinaia di uomini, donne, minori venduti dai trafficanti di migranti a bande criminali che chiedono riscatti migliaia di dollari alle famiglie.Più di duecento le fiammelle accese, una per ogni ostaggio. Centinaia di persone, tra cui molti eritrei, affollano il Campidoglio dietro lo striscione «Per la liberazione dei profughi sequestrati nel Sinai». A promuovere la fiaccolata, assieme all’Agenzia Habeshia, ci sono il Consiglio italiano per i rifugiati (Cir), A Buon Diritto, il Centro Astalli. Tra le adesioni Acli, Fondazione Migrantes, Amnesty International, Comunità di Sant’Egidio, Arci, Cgil, Uil, la deputata del Pd Maria Pia Garavaglia. I promotori ieri mattina sono stati ricevuti dai sottosegretari agli Esteri Stefania Craxi, Alfredo Mantica, Enzo Scotti. «Abbiamo chiesto che il governo si muova a livello Ue – dice il presidente del Cir Savino Pezzotta – per attivare una evacuazione umanitaria e poi l’accoglienza nei paesi membri. Ma l’Italia e l’Europa devono fare pressioni per avviare un processo democratico, almeno quanto stanno già facendo gli Stati Uniti». «Dal "governo amico" di Mubarak – dice il presidente di A Buon Diritto Luigi Manconi – Italia ed Europa non hanno ottenuto nulla. Serve un’accelerazione: gli ostaggi non possono aspettare i tempi del rinnovamento in Egitto». Moderatamente ottimista sull’evolversi della situazione politica il portavoce della sezione italiana di Amnesty, Riccardo Noury: «Nelle manifestazioni di questi giorni in Egitto non sono riecheggiati gli slogan antiamericani. Le fazioni fondamentaliste islamiche ci sono, ma non sembrano in grado – sostiene Noury – di creare un consenso maggioritario, anche perché in parte compromesse col vecchio sistema di potere».«Se la transizione porterà verso la democrazia – dice padre Gianromano Gnesotto, direttore dell’ufficio profughi di Migrantes – allora anche in Egitto ci sarà spazio per i diritti umani e la giustizia». «La speranza è l’unico bagaglio di chi fugge – commenta il gesuita padre Giovanni La Manna del Centro Astalli: «Sono proprio loro a insegnarci a sperare anche nelle situazioni più drammatiche».