Potrebbe aprirsi uno spiraglio per i 250 eritrei prigionieri di una banda di predoni nel Sinai del Nord da quasi quattro settimane. E intanto comincia a disvelarsi la complessa rete che sta dietro al traffico di esseri umani nell’area. Ieri si è appreso dalla consueta telefonata con il sacerdote Mosè Zerai che quattro ostaggi sono stati rilasciati tre giorni fa, dopo il pagamento di un riscatto. Si attendono però i loro riscontri sulla liberazione. Dovevano dare infatti ai compagni di prigionia un segnale dell’arrivo oltre confine, in Israele. Conferma che avrebbe dato garanzie ai parenti, i quali stanno effettuando collette per reperire gli ottomila dollari richiesti.L’ufficio egiziano dell’Alto commissariato delle Nazioni unite per i rifugiati sta effettuando in queste ore ricerche nei centri di detenzione per verificare se i quattro siano tra i 15 immigrati illegali etiopi ed eritrei arrestati l’altro ieri dalle forze di sicurezza del Cairo mentre cercavano di passare il confine. Sta intanto prendendo corpo la rete internazionale di trafficanti che da oltre un anno rapisce e tiene prigionieri in condizioni brutali e disumane i profughi. In un ampio dossier il gruppo Everyone ribadisce sul proprio sito che i profughi sono incatenati mani e piedi, all’interno di alcuni container in un frutteto alla periferia di Rafah, città divisa in due sulla frontiera del Sinai, da anni sede di commerci anche di armi ed esseri umani. Citando inchieste sui rapimenti nel Sinai di quotidiani britannici quali il «Daily Telegraph » e l’autorevole testata israeliana «Haaretz», il dossier riferisce che il capo dei predoni sarebbe un beduino di etnia Rashaida, Abu Khaled. Avrebbe un aiutante etiope – ma potrebbe anche essere eritreo – la cui vera identità è stata indicata dagli stessi profughi: Fatawi Mahari. Nel settembre 2009 l’uomo è stato indagato dagli 007 israeliani con l’accusa di aver preso il denaro in Egitto dai famigliari di alcuni africani rapiti dai beduini nel Sinai del nord per poi versarlo ai trafficanti e consentire il passaggio degli ostaggi attraverso i tunnel che collegano l’Egitto alla Striscia di Gaza. Mahari, fermato dalla polizia a Gerusalemme, è stato rilasciato. Oggi potrebbe essersi spostato a Rafah anche grazie ai collegamenti con Hamas.Sempre «Haaretz» riferisce dell’arresto a Gerusalemme di un eritreo, Nagasi Habati e di un suo complice, Moham- mad Ibrahim, che aveva in casa 50 mila dollari. Entrambi denunciati da un etiope al quale avrebbero chiesto un riscatto per un ostaggio. Resta una domanda chiave: come possono le carovane di disperati dirette in Israele sia dall’Eritrea che dalla Libia finire nelle mani della stessa banda di beduini? Oltre alla presenza di componenti tigrini nella banda, la risposta è la ramificazione degli stessi Rashaida, nomadi presenti, oltre che nel Sinai, in Libia, in Eritrea e in Sudan, proprio vicino a Kassala dove si concentrano i profughi che fuggono dal Corno d’Africa. Alcune tribù sono presenti anche in Arabia Saudita. Hanno sempre praticato la tratta degli schiavi, alcuni clan si sarebbero riciclati nel lucroso traffico di persone grazie alla rete etnica sovranazionale che consente di presidiare antiche rotte desertiche, di nuovo battute da quando il Mediterraneo è chiuso dai respingimenti in Libia.Un reportage ospitato sul sito eritreo Awate.com porta nuove tessere al mosaico criminale in cui sembra inserirsi la vicenda. In Eritrea i Rashaida sono i passatori cui tutti si rivolgono per lasciare il paese. La loro presenza su tutti i confini del Nord Africa avrebbe agevolato i passaggi clandestini e consolidato una vera e propria connection beduina che giunge fino a Israele e all’Arabia. Difficile on ipotizzare che non sia protetta da esponenti corrotti di governi e forze dell’ordine. In Arabia, nella cittàoasi di Hail, finirebbero invece a fare le schiave le donne rapite cui nessuno paga il riscatto, vendute per duemila dollari Il sospetto più forte è che ci sia un patto tra i Rashaida del Sinai le forze di sicurezza egiziane, che per tenerli lontani dal nevralgico confine chiuderebbero un occhio sull’immondo traffico. I silenzi del governo del Cairo e le recenti, strane uccisioni di alcuni eritrei disarmati compiuti dalle guardie di confine nel Sinai non dissipano le ombre.