Africa . Eritrea, liberato il vescovo Hagos / Il video
Il vescovo eritreo Fikremariam Hagos, 52 anni, è stato liberato dal regime di Isayas Afewerk ed è al sicuro. Con lui è stato liberato il sacerdote Mihreteab Stefanos, incarcerato come il suo vescovo lo scorso 15 ottobre.
La notizia è filtrata oggi pomeriggio dallo Stato-caserma africano, poi è arrivato un video che mostra i due finalmente liberi nella cattedrale di Asmara insieme all'arcivescovo della capitale mentre ricevono il saluto di preti e suore. Pare che sia stato decisivo l'intervento della segreteria di Stato vaticana.
Il presule cattolico di Segheneiti, nel sud dell'ex colonia italiana, era stato fermato e portato via dagli agenti della dittatura all'aeroporto di Asmara di ritorno da un viaggio in Europa senza nessuna ragione. Padre Stefanos era invece stato prelevato - sempre senza che fossero rese note le accuse - dalla polizia dalla cattedrale di Segheneiti dedicata a San Michele. Con loro era stato arrestato un frate cappuccino a Tessenei, padre Abraham. Da allora i tre sono spariti nel nulla, sorte frequente degli oppositori di uno dei regimi più repressivi del mondo.
Mai il governo asmarino, che pure ha perseguitato i vertici della chiesa copta ortodossa imprigionando per 16 anni fino alla morte il patriarca contrario a Isayas Afewerki, si era spinto a imprigionare senza base legale uno dei quattro vescovi cattolici del piccolo paese del Corno d'Africa. In questi 75 giorni di prigionia e di silenzio è venuta solo qualche voce dalla diaspora eritrea negli Stati Uniti a dire che i tre erano ancora in vita.
Ma con il passare dei giorni cresceva la paura che monsignor Hagos e padre Mireteab restassero a lungo in stato di detenzione in località ignota. Come abbiamo denunciato due giorni fa su Avvenire hanno trascorso in carcere il Natale. Invece abbiamo ricevuto conferma che il religioso, nonostante la legge eritrea esenti i consacrati dal servizio di leva a vita - che ha generato da 20 anni un esodo biblico - era stato arruolato a forza per recarsi a combattere nella vicina regione etiope del Tigrai perché aveva fatto il servizio militare prima di prendere i voti.
Secondo don Mosè Zerai, eritreo e presidente dell’agenzia Habeshia, che in queste settimane di prigionia ha cercato di rompere il silenzio dei media internazionali su questa vicenda di persecuzione religiosa, il prelato probabilmente è stato imprigionato per aver chiesto spiegazioni al regime circa la confisca delle scuole e delle cliniche. Aveva anche protestato pubblicamente per il trattamento dei fedeli della sua diocesi, poveri contadini cui era stato sequestrato il bestiame ed erano stati sbattuti fuori di casa perché i figli erano fuggiti dal reclutamento di massa per andare a combattere in nord Etiopia.