La guerra turca. Erdogan ora vuola la sua «pax siriana» e bombarda i curdi
Proteste nella zona di Idlib, in Siria
Erdogan non ferma gli attacchi: l’Osservatorio nazionale per i diritti umani in Siria ha riferito infatti la notizia dell’uccisione di diciannove persone, tra cui un bambino, nel nord-est del Paese, negli scontri armati tra Turchia, miliziani del Partito dei lavoratori curdi (Pkk) e forze governative siriane.
La stessa fonte riporta che nel raid aereo turco contro una base governativa siriana, controllata però dal Pkk nei pressi di Ayn Arab (Kobane), sono stati uccisi 13 miliziani, ma sarebbe rimasto coinvolto anche un bambino. Anche la zona di Qamishli, capoluogo della regione nord-orientale siriana, da dieci anni controllata dal Pkk col sostegno americano, è stata colpita da bombe turche, che hanno provocato la morte di quattro miliziani curdi.
Sotto le bombe turche, stando a quanto riferito dall’agenzia governativa siriana Sana, sono morti pure tre soldati governativi.
Le «operazioni mirate» turche contro membri del Pkk nel nord della Siria erano state in qualche modo legittimate da Russia e Iran, che tuttavia nelle scorse settimane si erano opposte al progetto di Ankara di una massiccia offensiva militare nella regione.
Le tensioni nell’area continuano ad aumentare anche sul fronte civile. Attivisti dell’opposizione siriana hanno denunciato che le autorità turche hanno «deportato» Salah Aldin al-Dabbagh, uno studente siriano di Legge per alcuni suoi post su Facebook. Il giovane sarebbe colpevole di «aver insultato il prestigio della Turchia» per via di un’azione legale intrapresa contro alcuni politici di Gazientep, che avrebbero scritto post razzisti contro i profughi siriani.
Tra i rifugiati cresce invece la preoccupazione per la crescente ondata di atteggiamenti di intolleranza nei loro confronti e per le deportazioni di centinaia di persone verso la Siria.
Nei giorni scorsi l’opposizione siriana ha dato il via a una mobilitazione contro le notizie del possibile riavvicinamento tra le autorità di Damasco e quelle di Ankara, dopo che la Turchia ha ristabilito anche le relazioni diplomatiche con Israele, perpetuando la politica del «piede in due scarpe».
Il ministro degli Esteri turco Mevlut Cavusoglu aveva infatti dichiarato: «Dobbiamo in qualche modo convincere l’opposizione e il regime a riconciliarsi in Siria. Altrimenti non ci sarà una pace duratura, lo diciamo sempre». L’Osservatorio siriano per i diritti umani ha riferito che venerdì scorso si sono svolte ben trenta diverse manifestazioni nel nord della Siria per protestare contro ogni possibile riconciliazione: «Siamo contrari alla riconciliazione. Non dimenticheremo il sangue dei martiri, il dolore dei detenuti e le stragi».