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Istanbul. Erdogan «condanna» la stampa

Marta Ottaviani giovedì 4 giugno 2015
Recep Tayyip Erdogan contro tutti. Ma soprattutto contro la categoria che da sempre lo indispettisce maggiormente: i giornalisti. A tre giorni dal voto il presidente turco lancia la sua ultima sfida. Due giorni fa aveva minacciato il giornalista Can Dundar, direttore del quotidiano Cumhuriyet: la sua colpa è aver pubblicato, lunedì scorso, uno scoop a sua firma sulle armi consegnate dai servizi segreti turchi a gruppi siriani jihadisti. L’argomento è quanto mai indigesto al presidente, accusato, dentro e fuori la Turchia, di andare a braccetto sia con le frange più eversive dell’opposizione a Bashar al-Assad, sia con l’Is. La sua reazione non si è fatta attendere. Erdogan ha promesso a Dundar, che da sempre viene considerato uno dei giornalisti più seri e autorevoli, che avrebbe pagato l’articolo «a caro prezzo». Ieri, con una puntualità che alimenta dubbi sull’indipendenza della magistratura, è arrivata dalla Procura di Istanbul la richiesta di ergastolo per il giornalista. Can Dundar è stato accusato di spionaggio, la stessa sorte che, qualche mese fa, era toccata ai militari che avevano scattato le foto pubblicate da Cumhuriyet. Un braccio di ferro, quello fra Erdogan e la stampa di opposizione, che sembra inasprirsi sempre di più. E adesso la posto in gioco è particolarmente alta. Per ora l’azione di Erdogan e dei giudici di Istanbul sembra aver prodotto l’effetto contrario, almeno a livello di opinione pubblica. In poche ore Dundar e il suo giornale hanno ricevuto migliaia di manifestazioni di affetto e solidarietà, in testa quelle di Orhan Pamuk, il premio Nobel per la Letteratura, che è intervenuto dichiarando che «la democrazia non può essere sacrificata».Se quello di Dundar è il caso più eclatante e grave, purtroppo non è il solo. Baris Ince, direttore del quotidiano di sinistra Bir Gun, è sotto processo per aver offeso il presidente della Repubblica e rischia fino a 5 anni di carcere. La sua colpa è avere scritto articoli in cui denunciava la corruzione dilagante in ambienti molto vicini al partito ma anche alla famiglia del presidente. Un processo colossale, soprannominato nel Paese «Tangentopoli turca», e insabbiato a suon di demansionamenti, sostituzioni di capi di polizia e magistrati radiati dalla professione. Ma Erdogan ieri è andato a muso anche contro la stampa internazionale, infiammando la platea che lo ascoltava a Bingol, nell’est del Paese, con un discorso impregnato di nazionalismo, identità religiosa e ricorsi storici creati ad hoc. Il New York Times, la Bbc, l’Economist e altri media a diffusione mondiale sono stati da lui accusati di indebolire la Turchia per poi assoggettarla e disintegrarla. La “madre” di tutte le teorie dietrologhe della Mezzaluna, che però riesce ancora ad avere una presa incredibile sulla folla. Certo, sui social il gradimento del presidente è in grande calo. Migliaia di donne stanno aderendo alla protesta online, diventata virale, lanciata su Twitter con l’hashtag #SirtimiziDonuyoruz: postano una loro foto di spalle per stigmatizzare i commenti sarcastici fatti del capo dello Stato quando, giorni fa, un gruppo di donne si è messo, appunto, di spalle al suo passaggio per esprimergli disapprovazione. Rimane ora da vedere quante persone gli volteranno le spalle alle urne.