Superare il trauma, ricostruire relazioni positive, ridare fiducia. Le chiamano «attività ponte» per far superare l’«inevitabile senso di rottura », spiegano i responsabili dell’équipe giunta dall’Italia. Ridare senso e ordine ai ricordi e alle emozioni, soprattutto quelle di bambini che ormai da oltre 15 mesi bivaccano in quelle scatole di sardine che sono state le microstanzette di Ankawa Mall, e ora i mille container di Ankawa 2. Ricordi di una fuga nella notte, e racconti di violenze dei “diavoli neri” del Daesh. L’idea, semplice quanto ambiziosa, è di riuscire a formare anche nel cuore del centro di accoglienza dei rifugiati della Piana di Ninive, operatori sociali e insegnanti adeguatamente formati per operare in un «contesto di crisi». Così dal 15 al 24 novembre, per dieci giorni, il grande spazio riunioni fra i container dell’Hope center, la scuola materna costruita da Focsiv, e le tre aule per i bambini, si sono riempite di insegnanti e bambini a scuola di “resilienza”. Un kit didattico con spiegazioni in inglese ed arabo, la presenza di interpreti locali, e soprattutto «una grande voglia di imparare », racconta Valentina Hurtrubia, pedagogista con precedenti esperienze in campi profughi in Libano e in Giordania. Con lei Alessandra Cipolla, laureata in psicologia, per sviluppare il progetto “Tutori di resilienza”. Un piano di lavoro già sperimentato in altre situazioni di emergenza dal Centro studi sulla resilienza dell’Università Cattolica di Milano diretto da Cristina Castelli, che per la prima volta in questi giorni a Erbil ha messo in atto una collaborazione con il Centro Sportivo Italiano: anche l’attività ludico-sportiva come fattore di rinascita per una comunità di profughi. Emanuele Villa e Valentina Piazza, laureati in Scienze motorie sempre all’Università Cattolica, i due giovani tecnici in “trasferta” nell’Erbil dei profughi cristiani. Moduli didattici al mattino per gli insegnanti della scuola Focsiv, ma anche di altre strutture locali, come di operatori di Ong. Parte pratica al pomeriggio con disegni, giochi, canti e, sul campo di pallacanestro appena costruito da Focsiv, gincane e percorsi didattici far giocare i bambini e i ragazzi delle diverse fasce di età. Alla fine coinvolti più di 800 i ragazzi coinvolti e 32 operatori sociali, tutti presenti alla festa finale per la consegna dei diplomi a cui era presente pure il console italiano Carmelo Ficarra. «Un modello di intervento che ha interessato anche altre importanti Ong presenti a Erbil. E soprattutto si è riusciti a dare un supporto di qualità al personale che, va ricordato, è composto essenzialmente da educatori e allenatori che sono loro stessi dei profughi », fa notare Terry Dutto, direttore del progetto Focsiv a Erbil. La speranza è che l’“onda lunga” del progetto si diffonda e faccia scuola. «Non escludiamo di poter fare in futuro, d’intesa con la diocesi di Erbil, un progetto anche per i religiosi che sono loro stessi profughi e hanno, come guide delle comunità, un impressionante carico psicologico da portare », spiega la professoressa Cristina Castelli. Intanto da qualche giorno, anche ad “Ashti 128”, il campo a fianco di Ankawa 2 diretto da padre Jalal Yako, è iniziata grazie ai fondi raccolti da Focsiv, la costruzione di una scuola materna. Si lavora anche al campo Ishtar, quello degli yazidi, per ultimare un campo di pallavolo. Gocce di speranze, mentre minaccioso avanza il generale inverno e le Nazioni Unite, con i conti in rosso, stanno ormai dimezzando i loro interventi. Solo il 10% del progetto educazione dell’Onu è attualmente finanziato, con 250mila minori fra i profughi in Iraq senza istruzione. Intanto il voucher per comprare cibo destinato ad ogni profugo censito, già ridotto in passato, in settembre è sceso da 18 a 10 dollari al mese mentre ancora 300mila persone in tutto l’Iraq, all’inizio dell’inverno, sono senza una tenda e almeno una stufa al kerosene.