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Gaza. Emergency: «Qui nell’area umanitaria tra una moltitudine assuefatta al dolore»

Anna Maria Brogi venerdì 6 settembre 2024

Il Suv di Emergency a Gaza fotografato dall'interno dell'altro Suv con cui si sposta la Ong: sempre due vetture per ragioni di sicurezza

La guesthouse che dividono con un’altra Ong è un edificio a un piano con cortile. Da un lato, il cancello d’ingresso. Sui restanti tre lati, le tende. «Se guardo dal balcone, vedo sfollati. Qui c’erano campi e terreni incolti, il suolo è semidesertico. Ora è una distesa di tende leggere o strutture fatiscenti: due assi di legno e un telo. Abbiamo ancora più di 30 gradi e un’umidità del 60-70%. Immagino cosa succederà quando arriveranno le piogge». Stefano Sozza, capomissione di Emergency nella Striscia di Gaza, parla da al-Zawayda, a nord di Deir-al-Balah, nell’«area umanitaria». Arrivato il 15 agosto, con il collega esperto di logistica ha individuato il lotto di terreno dove costruire la clinica da campo.

Per Emergency è la prima volta a Gaza. Lei ci aveva lavorato con un’altra Ong. Che cosa ha trovato?

Nel 2017 avevamo un ufficio a Gaza City. Per raggiungere Rafah lungo la strada costiera, la Rashid Road, impiegavo mezz’ora. Scorrevole. Ora per andare a Khan Yunis, poco più di metà percorso sulla stessa strada, ci mettiamo non meno di due ore. Una miriade di persone. Migliaia di bambini. Suoni il clacson e la gente non si sposta. Assuefatti a una stanchezza latente.

Non dirà che c’è traffico…

C’è il traffico dei carretti trainati dagli asini, delle biciclette e dei pedoni. Nei 46 chilometri quadrati dell’area umanitaria si ammassano quasi 2 milioni di persone. Che hanno perso tutto. Chi faceva il barbiere taglia i capelli sotto due assi e un telo. Lo stesso il panettiere. S’inventano negozietti lungo la strada. Anche perché altrove non c’è spazio. Le auto sono poche, con il gasolio che costa 15 euro al litro al mercato nero. Prima del 7 ottobre costava meno di un euro. È un’economia di guerra.

Come vi spostate?

Dal valico di Kerem Shalom siamo entrati con il convoglio blindato dell’Onu. Qui ci muoviamo con Suv a noleggio, sempre due per prudenza. Comunichiamo all’esercito le coordinate di partenza e di arrivo e i tempi stimati. Restando dentro l’area umanitaria. Abbiamo fatto vari sopralluoghi per individuare il lotto di terreno.

E cosa avete visto?

Scendendo verso sud, nella zona costiera di al-Mawasi, ci sono tende anche in spiaggia. Quasi non si vede il mare. Lo stesso verso l’interno. Fatta eccezione per le aree urbane, o quello che ne resta in piedi, da Deir-al-Balah fino a Khan Yunis è un accampamento ininterrotto. Anche per questo non è stato facile trovare il terreno.

Dove l’avete individuato?

Nel governatorato di Khan Yunis, a un chilometro dal mare. Terreno privato recintato. Inizieremo la costruzione nelle prossime settimane. Sarà una clinica da campo che fornirà servizi di salute primaria. Una struttura leggera, facilmente evacuabile. Laminati ondulati e pannelli isolanti. Tre o quattro ambulatori, una stanza per i malati infettivi e un pronto soccorso.

Niente chirurgia di guerra?

I pochi ospedali funzionanti la sanno fare. A congestionarli è la pressione per la salute primaria: traumi civili, incidenti, assistenza post parto.

Non ci sono feriti nell’area umanitaria?

Il rischio è molto inferiore rispetto a Gaza o a Rafah, ma ci sono stati bombardamenti. L’altra notte, verso le 3.30, abbiamo sentito due forti esplosioni. Al mattino abbiamo appreso che c’era stato un raid vicino all’ospedale al-Aqsa di Deir-al-Balah. Capita anche di sentire spari fra le tende. Faide familiari. Violenza porta violenza.

Circolano armi tra gli sfollati?

Come in tutti i Paesi in guerra. Quando ero in Afghanistan mi sono trovato spesso davanti a regolamenti di conti per motivi futili. Il livello di stress post traumatico di chi non è più padrone della propria vita esaspera ogni tensione. E quando si vive in otto in una tenda i dissidi non mancano. Mi viene in mente il lockdown per il Covid. E lì avevamo tutto.

Che tipo di contatti avete con la popolazione?

Durante i sopralluoghi, la gente si avvicinava. Prima per curiosità. Poi vedevo un lampo di speranza negli occhi. Cominciavano a chiedere. Cibo, sapone, Internet. Una saponetta costa 10 euro. Venditori di semi ce li offrivano. Non è facile fare un sopralluogo e capire che in quella zona non potrai operare. Ci dicevano: grazie di essere qua.

Quando sarete operativi?

Prima possibile, stimiamo a metà ottobre. Abbiamo avuto il via libera per costruire e stiamo selezionando il personale locale: una ventina, tra sanitari e non. Ai primi di ottobre dovrebbero arrivare 4 o 5 medici e un’ostetrica internazionali. Ogni figura professionale prevede due persone, da far ruotare ogni sei settimane.

Lei quanto resterà?

Ancora tre mesi. Fino alla prima settimana di dicembre.

Stefano Sozza, capomissione di Emergency nella Striscia di Gaza. Arrivato il 15 agosto, resterà fino all'inizio di dicembre per avviare la prima clinica dell'Ong nell'enclave palestinese - Emergency