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LE DIFFICILI COALIZIONI. Prove di coabitazione a Downing Street

Alberto Simoni sabato 8 maggio 2010
Le telecamere della Bbc seguono dall’alto il piccolo corteo di auto blu che conduce Nick Clegg dalla stazione ferroviaria di King’s Cross alla sede del partito liberaldemocratico, dinanzi a Westminster. Sono il simbolo degli occhi di una nazione incollati sul 43enne leader lib-dem bocciato dalle urne, ma divenuto il «kingmaker», l’uomo chiave, nella prima giornata post elettorale. Clegg è l’uomo più corteggiato d’Inghilterra. Tocca allora a lui aprire le danze. Sono le 10 del mattino quando Clegg spiega ai giornalisti la sua linea: «Tocca ai conservatori che hanno la maggioranza dei seggi provare a formare il governo». I numeri non consentono grandi voli di fantasia. Clegg lo sa. Ma la sua uscita ha il duplice effetto di scaricare la responsabilità sul coetaneo Cameron e di assestare il colpo forse decisivo al premier laburista Brown. Ma è solo l’inizio. Perché poi tocca al premier, rientrato a Londra all’alba, replicare davanti al numero 10 di Downing Street. Gordon Brown e i suoi consiglieri più stretti hanno preparato accuratamente il contropiede. Prima di tutto il premier ricorda che il governo va avanti. Fino al 18 maggio sarà comunque lo scozzese che per dieci anni è stato Cancelliere dello Scacchiere accanto a Blair a tenere in mano le redini del Paese. Sempre che non si arrivi in tempi rapidi a un governo che escluda i laburisti e che possa presentarsi con la fiducia in tasca al Discorso della Regina del 25 maggio. Brown si mette alla finestra: Cameron e Clegg parlino pure ma, dice, «se fallissero, parlerò io con Mr. Clegg, per trovare un accordo». Brown mette subito sul piatto la disponibilità di tenere un referendum sul sistema elettorale. È l’amo per provare a far abboccare i liberaldemocratici. Il premier si dice pronto a negoziare con tutti e secondo alcune fonti avrebbe già in mano i voti di scozzesi, gallesi e irlandesi. I quali comunque vada saranno preziosi, forse determinanti, a Westminster. La loro contropartita? Un mare di sterline da Londra verso Belfast, Cardiff ed Edimburgo. Paradossalmente è l’Inghilterra a contare meno. Il leader dei conservatori è l’ultimo a intervenire. Lo fa alle 14,30 e apre ai liberaldemocratici riconoscendo tutte le perplessità e i rischi che ci sono in un “matrimonio” fra due forze eterogenee che hanno poco in comune. Certamente differiscono sui temi chiave. Cameron non si nasconde: ribadisce il «no all’aumento dei poteri dell’Unione europea», rilancia l’impegno «per la difesa e la sicurezza», e per la «missione in Afghanistan» ma soprattutto invita ad agire subito per garantire il controllo del deficit che spaventa i mercati e non solo. «Voglio fare un’offerta ampia, aperta e complessiva ai liberaldemocratici per affrontare insieme i problemi del Paese», dice Cameron che riconosce la differenza fra le due piattaforme ma anche l’esistenza di punti di contatto, come la lotta ai cambiamenti climatici e l’istruzione. Il nodo è però il sistema elettorale. Il massimo che propone il leader conservatore è una «commissione che studi la questione». Siamo agli antipodi della visione di Clegg. Che vuole un proporzionale. «Nessun cambiamento dei collegi, ogni distretto deve avere un seggio», è il ragionamento di Cameron che si muove su un doppio binario. Infatti da una parte sostiene di essere pronto a un governo di minoranza che lo porterebbe a cercare fiducia e voti in Parlamento su temi di interesse comune. Dall’altra apre alla coalizione. Secondo alcune fonti è su questo secondo viale che Cameron potrebbe incamminarsi. William Hague non ha escluso che «possano esserci ministri liberaldemocratici nell’esecutivo». Cameron chiede comunque che si faccia «presto ad avere un governo forte e stabile» per affrontare la crisi economica e il deficit entro l’anno. Nel pomeriggio i due 43enni intanto si sono sentiti per la prima volta dopo il voto. Avrebbero deciso di «lavorare su un terreno comune». Il problema per Cameron sarà avere la maggioranza (con i lib-dem arriverebbe a 364), per Clegg invece “vendere” (oggi c’è l’incontro fra i neoeletti) all’ala sinistra del suo partito un accordo con i Tory. Se andrà male potrebbe giocare la carta Brown e riportare in vita la coalizione Lib-Lab del 1974.