L’offensiva è scattata all’alba. Le forze dell’ordine hanno fatto irruzione in vari punti di El Salvador e hanno arrestato 300 esponenti delle maras, le potenti gang criminali che terrorizzano il Paese. La maxi-operazione è la risposta del governo di centro-sinistra al blocco del trasporto pubblico imposto dalle bande nell’ultima settimana di luglio. La nazione è rimasta paralizzata per giorni. E gli autisti “ribelli” – almeno sette – sono stati massacrati. «Hanno passato il limite. È l’inizio della nuova strategia per garantire la sicurezza», ha annunciato il procuratore generale Luis Martínez. «Fermeremo le maras», gli ha fatto eco il presidente, Salvador Sánchez Cerén.La sfida, però, è ardua. Ogni giorno di agosto nella nazione più piccola dell’America Latina sono state assassinate 24 persone. L’anno rischia di chiudersi con il drammatico tasso di 92 omicidi ogni 100mila abitanti. Non accadeva dal tempo della feroce guerra civile, finita nel 1992. Le “maras” non sono una novità. Formate dai giovani latinos profughi nei ghetti di Los Angeles, sono arrivate a El Salvador in seguito al rimpatrio di massa decretato dalle autorità Usa dopo gli accordi di pace. E sono dilagate nel clima convulso del post-conflitto. La repressione degli anni Duemila ha accelerato la trasformazione dei due gruppi principali – Mara Salvatrucha e M18 – in strutture criminali forti e coese. Mai, però, la violenza si era fatta così intensa e opprimente sulla popolazione. Il punto di svolta per capire che cosa accade a El Salvador è la fine, un anno fa, del tentativo di negoziato con le bande condotto, anche se non direttamente, dal precedente governo, sempre di centro-sinistra. Le gang si erano impegnate a smettere di combattersi in cambio di benefici carcerari. Il tasso di omicidi si era dimezzato nel 2013. Secondo varie fonti, però, si sarebbe trattato di un trucco: le bande avrebbero semplicemente imparato a far sparire i cadaveri nelle fosse comuni. In ogni caso, il nuovo esecutivo ha archiviato il negoziato. E l’escalation è ricominciata. «Dipende da molti fattori – spiega ad
Avvenire Jeannette Aguilar, docente dell’Universita Centroamericana José Simeón Cañas (Uca), fondata dai gesuiti, e tra i massimi esperti del fenomeno –. Durante la tregua, le maras hanno constatato l’enorme potere che possono avere nei confronti dello Stato attraverso il “dosaggio” della violenza. E lo utilizzano per costringere quest’ultimo a scendere a patti. Oltretutto, le gang hanno approfittato della “pausa” per rafforzarsi nell’economia criminale e moltiplicare le proprie zone di influenza». Risultato: attualmente – secondo il ministero della Giustizia – le gang agirebbero in 2.024 sobborghi, accanendosi in particolare sulle zone emarginate, dove lo Stato è più debole. Là impongono il pizzo agli abitanti, la cosiddetta “renta”. O li costringono – soprattutto i ragazzini – a lavorare per loro. O, ancora, sottraggono loro case e beni, anche di scarso valore. Chi non si adegua, viene ammazzato. «Impiegano la paura e il terrore per esercitare il proprio controllo, in forma diretta e simbolica, sulla popolazione», continua Aguilar.Vi sono, inoltre, altri due elementi da considerare. In Salvador vi è sempre stato un “uso politico” della violenza. La questione sicurezza viene impiegata per acquisire consenso. Vi sono, poi – secondo vari studi – “poteri forti” più o meno legati ai gruppi criminali, in grado di manipolare la violenza per distrarre l’opinione pubblica, squalificare l’avversario, favorire affari occulti. A tal proposito, entra in gioco il fattore-narcotraffico. Fonti riservate denunciano ad
Avvenire una crescente infiltrazione dei grandi cartelli messicani nel Paese, impiegato in prevalenza come “lavatrice” del denaro sporco. La brutalità delle maras – in qualche modo “diretta” da questi ultimi – rappresenta un perfetto diversivo. Mentre l’attenzione delle autorità e dei cittadini si concentra sulle gang, i narcos possono agire nell’ombra, indisturbati. «In tale contesto, non esiste una formula magica. E la repressione non basta. È necessario uno sforzo dell’intera società con iniziative multidimensionali», conclude Aguilar. A tal fine, il governo ha istituito la Commissione nazionale sulla sicurezza a cui partecipano tutte le forze politiche, sociali e religiose. La strada, però, si profila lunga. E la crescente polarizzazione politica la rende ancora più tortuosa.