L'arresto. Catturato El Mayo, l'ultimo grande boss del narcotraffico messicano
El Mayo, com'era e com'è
«Passo dopo passo ha salito la scala/ da molti anni sono al potere/ quelli che hanno cercato di buttarmi giù/ li vedo cadere dalla mia vetta». Dice, così, “Il più potente”, uno delle più celebri degli oltre cinquanta brani o “corridos” - particolare genere musicale messicano – composti per Ismael “El Mayo” Zambada. Il “boss intoccabile”, lo chiamavano: trafficante per sessanta dei suoi 76 anni e latitante da oltre quattro decenni malgrado la taglia de 15 milioni di dollari del governo Usa. Nessuno, da un lato all’altro del confine lungo cui conduceva il traffico di cocaina, marijuana e, soprattutto, Fentanyl e droghe sintetiche, era mai riuscito a fermare “El Mayo”. Fino a giovedì. Nel primo pomeriggio, il co-fondatore del cartello di Sinaloa – insieme a Joaquín El Chapo Guzmán – è stato arrestato a El Paso, in Texas. Lo hanno preso in uno scalo per il trasporto aereo privato. Era in compagnia di Joaquín Guzmán López, uno dei figli nonché eredi di El Chapo, anche lui finito in cella. Molti i dubbi su quanto avvenuto a El Paso.
A cominciare dal fatto che El Mayo si trovasse in compagnia di uno dei rampolli dell’ex socio con cui, negli ultimi anni, aveva ingaggiato un conflitto feroce. Il New York Times, citando fonti della sicurezza Usa, parla di un tradimento da parte di “El Chapito”, in base a un accordo per salvare il fratello Ovidio, in cella negli Usa dal settembre scorso. Secondo il Federal Bureau of prison, quest’ultimo sarebbe rilasciato martedì. Informazione smentita dall’ambasciata Usa in Messico. Alcuni sospettano che l’anziano “capo”, in condizioni di salute ormai precarie, si sia consegnato. Per varie fonti – riprese sempre dal New York Times –, la scelta è frutto di tre anni di negoziati con Washington a porte chiuse. Di fronte al moltiplicarsi delle voci, la segretaria per la Sicurezza pubblica, Rosa Icela Rodríguez, ha chiesto chiarimenti sulla dinamica. Di certo, la cattura avviene in un momento strategico, sia per Washington sia per Città del Messico. In vista del voto di novembre, l’Amministrazione Biden vuole dimostrare fermezza nella lotta al traffico di droga e nel controllo della frontiera. Il fermo di “El Mayo” è stato annunciato dal segretario per la Sicurezza, Alejandro Mayorakis, nell’ambito di un’offensiva per arginare la diffusione del Fentanyl negli States, sostanza responsabile della «peggior crisi causata dalla droga nella storia d’America». Solo l’anno scorso sono morti per overdose oltre 73mila cittadini, più della somma delle vittime statunitensi nelle guerre di Vietnam, Iraq e Afghanistan. La mafia di Sinaloa – insieme al rivale cartello di Jalisco Nueva Generación – ne è il principale produttore e venditore. «Una delle organizzazioni più letali al mondo – ha detto il presidente Joe Biden nel congratularsi con le forze di sicurezza –. Ha ucciso con il Fentanyl troppi dei nostri cittadini. La mia amministrazione continuerà a fare tutto quello che può per portare di fronte alla giustizia i trafficanti di droga e salvare vite americane». La direttrice dell’Agenzia anti-droga Usa, Anne Milgram, ha parlato di «colpo al cuore» per l’organizzazione e i suoi affari.
È davvero così? Qui entra in gioco il fattore Messico che, non meno del vicino del Nord, attraversa una fase cruciale. È in corso la transizione tra l’attuale presidente, José Manuel López Obrador, e Claudia Sheinbaum, eletta a giugno. Entrambi appartengono allo stesso partito, Morena. La successione, tuttavia, apre un riassetto negli equilibri di potere legali. Che, a loro volta, impattano su quelli criminali i quali hanno ormai “catturato” ampi pezzi di istituzioni. L’arresto di “El Mayo”, dunque, può rispondere a un intento di pulizia da parte del governo entrante in un momento in cui vengono meno alcune “protezioni” per il boss. O, come spesso è accaduto, può trattarsi di un riassetto delle alleanze tra politica e criminalità organizzata. Una delle quattro fazioni in cui è diviso il cartello dall’ultima incarcerazione di ElChapo, nel 2016, può averne approfittato per scalare il vertice, defenestrando il vecchio boss. O, ancora, può trattarsi di una mossa pianificata a tavolino da quest’ultimo. L’arresto di “El Mayo” è, comunque, un passo storico. Zambada è l’ultimo grande capo della generazione storica del narcotraffico messicano. Il resto – da Amado Carrillo a Rafael Caro Quintero a Miguel Ángel Félix Gallardo – è morto o in prigione da tempo. A differenza di El Chapo, Zambada ha sempre scelto il bassissimo profilo. Solo nel 2010 aveva rotto il silenzio nella celebre intervista alla rivista messicano Proceso. Nell’occasione aveva detto che avrebbe preferito uccidersi piuttosto che andare in carcere. In quattordici anni, però, “El Mayo”, forse, ha cambiato idea