«E’ sinonimo di carattere risoluto, di scelte da leader e di stile da vendere». Almeno, così, affermano i creatori del marchio per abbigliamento e accessori
El Chapo Milano. E per aumentare il senso di mistero, in pieno stile
narcos, i loro nomi sono rigorosamente anonimi.
«Tutti gli accessori El Chapo® sono ideati, prodotti e confezionati in Italia a Milano, lavoriamo in una factory segreta XXX». In vendita, sul sito, si trovano magliette, felpe e mascherine in vari colori e tessuti. C’è anche un’apposita linea
Santa Muerte, culto popolare tanto blasfemo diffuso nel mondo del crimine organizzato messicano. Non è la prima volta che il marketing trasforma un boss in un oggetto di moda. E’ toccato, ad esempio, a Pablo Escobar, il cui volto popola bluse e cappellini in America Latina.
Ora è il turno di Joaquín Guzmán Loera, alias El Chapo, fondatore del cartello di Sinaloa, protagonista di due rocambolesche evasioni da altrettante carceri di massima sicurezza, al momento in cella della prigione di Florence, negli Usa, dove è stato estradato nel 2017 e condannato, due anni dopo, all’ergastolo.
In una sentenza di oltre 300 pagine, i giudici di New York l’hanno ritenuto colpevole di delitti che vanno dal traffico di droga al riciclaggio all’omicidio. Nonostante i dettagli, però, quel verdetto non può esaurire gli ultimi decenni di storia del Messico, di cui è
El Chapo è stato importante protagonista. Una stagione marcata a fuoco dalla progressiva conquista dei gruppi criminali di interi pezzi di istituzioni. Fino a scatenare, negli ultimi quattordici anni,
una mattanza di proporzioni belliche, da quasi 300mila morti. Quarantamila di questi negli ultimi dodici mesi, al ritmo di 109 omicidi al giorno. A questo vanno sommati i quali 80mila desaparecidos, le centinaia di miglia di sfollati interni, feriti, vedove, orfani. Di tutto questo non fa parola il sito di
El Chapo MIlano.
Nella home, giovani e bellissimi modelli vengono ritratti nei luoghi più emblematici del capoluogo lombardo mentre sfoggiano il marchio del boss. Non proprio una bella pubblicità per Milano. La “capitale culturale” e “motore economico” d'Italia merita di essere rappresentato da ben altri “leader”.