Ecuador. La battaglia di El Carmelo per fermare la miniera in Amazzonia
Un incontro degli abitanti di El Carmelo
Le sedie di plastica rossa si riempiono alla spicciolata. Prima arrivano i più anziani. Gli uomini con il codino e le camicie bianche. Le donne con le gonne lunghe e strette e le bluse di seta ampie. Tutti in testa portano la tipica bombetta. Sono Saraguro, uno dei tanti popoli di lingua Quechua delle Ande. Nella Cordigliera amazzonica del Cóndor sono arrivati negli anni Quaranta e Cinquanta, l’era della colonizzazione agricola. Ormai, però, si considerano autoctoni, al pari dei nativi Shuar. Ci sono anche questi ultimi, anche se in numero minore, in jeans e maglietta.
Man mano, le persone si compattano sotto il tendone azzurro nell’intento di proteggersi dal sole implacabile dell’Equatore. Come frecce infuocate, i raggi del primo pomeriggio colpiscono alla cieca i passanti, umani e animali. Al grosso toro che presidia l’entrata del Convento, fattoria centrale di El Carmelo, non sembra importare troppo. L’attesa è lunga e afosa. I contadini più giovani della frazione di Guadalupe, a un’ora d’auto da Tundayeme, non possono perdere la giornata di lavoro. Così vengono quando hanno finito i compiti più urgenti, direttamente dai campi, ancora con gli stivali di gomma ai piedi. Alla fine, ogni panca, sporgenza, pietra del podere è occupata. E l’elegante Santiago Cabrera, incaricato dal ministero delle Miniere di spiegare i vantaggi del settore, può iniziare la riunione.
L’ingegnere si lancia in un’esposizione brillante: descrive gli articoli della Costituzione, le leggi e le relative eccezioni. Le sue parole sono supportate dalle slides che un assistente fa scorrere dal pc. Per un attimo, il popolo di El Carmelo – 72 abitanti fissi più alcune centinaia che qua hanno i poderi ma risiedono nella vicina Piumtsa – resta spiazzato. Poi, pian piano, dal pubblico, giungono le prime risposte. Interventi brevi, infarciti di esempi semplici e detti popolari, tipo «Meglio un bicchiere d’acqua pulito che un lingotto d’oro». l succo è sempre lo stesso: «È che noi, ingegnere, le miniere non le vogliamo». Pochi metri li dividono, eppure la distanza tra oratore e spettatori è incolmabile. I loro discorsi appartengono a differenti universi culturali e sociali. Da una parte, c’è il linguaggio asettico e burocratico dell’ingegnere. Dall’altra, la parlata appassionata, a volte confusa, spesso stentata, degli abitanti di El Carmelo. I quali, uno dopo l’altro, si alzano in piedi, vincendo la timidezza cronica, per scandire: «No alla miniera».
Lo ripetono in coro, fino a quando all’ingegnere non resta che arrendersi e spegnere il computer. La decisione è presa. El Carmelo presenterà richiesta per essere riconosciuta zona di riserva idrica. Una sfida non da poco. Occorre una delibera governativa. Se riuscisse, però, la zona sarebbe al sicuro dalle scavatrici incombenti.
«Tutto è cominciato nell’estate 2018. Prima ci sono stati dei sorvoli aerei. Poi, sono arrivati degli uomini ben vestiti e si sono presentati come funzionari della compagnia. Ho risposto loro: “Ma quale compagnia?”». Hanno detto: “Siamo della Fortescue Metal Group e abbiamo ricevuto in concessione questa terra dal governo”», a queste parole, Hernán Lozano è sbiancato. «Nessuno sapeva niente. Poi sono tornati altre due volte. L’ultima hanno organizzato una riunione ufficiale. Ci hanno spiegato che, se le rilevazioni si fossero rivelate positive, avrebbero costruito una miniera a cielo aperto per l’estrazione del rame. Che cosa ne sarà della nostra acqua?», spiega l’anziano contadino.
«Promettono, promettono e poi ci ritroviamo senza più alberi, fiumi, terra buona per l’agricoltura. E allora che cosa ci facciamo con gli spiccioli che danno alle comunità per tenerle calme?», gli fa eco Jorge Nontip, ex presidente della Federazione Shuar della provincia di Zamora. «Hanno detto che creeranno posti di lavoro, investimenti, strutture. Ma non mi hanno convinto. Non voglio barattare il presente con il futuro».