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Afghanistan. «Effetto taleban» a livello mondiale. L'Onu resta a Kabul

Angela Napoletano martedì 17 agosto 2021

«Proteggere vite umane». Afghane e straniere. È questa l’urgenza che, più di ogni altra, agita le cancellerie dei Paesi europei chiamate a fare i conti con il sanguinoso ritorno al potere dei taleban in Afghanistan. Da gestire c’è anche l’allerta terrorismo e le formalità diplomatiche legate alla rinascita dell’Emirato islamico. Ma, come sottolineato ieri dal segretario generale Onu, Antonio Guterres nella riunione di emergenza del Consiglio di Sicurezza, ogni sforzo, deve puntare a salvare il popolo afghano dalla furia delle milizie islamiche, soprattutto donne e bambine, vittime di abusi «agghiaccianti».

Il Consiglio di sicurezza ha chiesto l’«immediata cessazione di tutte le ostilità» e l’istituzione di un nuovo governo «inclusivo» con la partecipazione «equa e significativa delle donne». I Quindici chiedono «sicurezza e l’incolumità di tutti i cittadini afghani e internazionali». L’emergenza umanitaria attesa con l’ondata di profughi afghani in fuga verso Ovest sarà discussa anche alla riunione dei ministri degli Esteri dell’Ue convocati in remoto, oggi, in via straordinaria.

Dopo aver assicurato che l’Onu resterà in Afghanistan adattando la presenza dei funzionari «allo stato di sicurezza», Guterres ha esortato tutte le nazioni coinvolte nell’esodo degli afghani «ad astenersi da eventuali rimpatri». Il suo invito segue l’appello con cui domenica sera 60 Paesi, tra cui anche l’Italia, hanno chiesto alle autorità locali di aiutare gli afghani e tutti gli stranieri in zona a lasciare Kabul in sicurezza e a tenere aperti gli aeroporti. Le operazioni di evacuazione si annunciano complesse.

Il Regno Unito nei prossimi giorni riuscirà a portare via dall’Afghanistan solo qualche centinaio dei quasi 4mila cittadini britannici di stanza a Kabul e dintorni. Il governo di Boris Johnson, che ieri ha portato la crisi afghana al comitato per le emergenze Cobra, ha promesso che farà di tutto per trasferire Oltremanica i connazionali insieme agli interpreti e ai giornalisti afghani che negli ultimi anni hanno lavorato al servizio di aziende e militari britannici ma, ha ammesso il ministro degli Esteri, Dominic Raab, non è al momento possibile dire quanti. Tempi e modalità delle operazioni verranno discusse domani al Parlamento.

La situazione è «estremamente difficile» aveva avvertito domenica il premier Johnson, e lo sarà sempre di più. È questo il motivo che ha portato il titolare di Downing Street, che ieri ha discusso l’eventualità di una risoluzione congiunta con la Francia: «Non vogliamo che nessuno lo faccia in modo unilaterale», ha spiegato Johnson, perché nessuno vuole che l’Afghanistan torni ad essere «terreno fertile per il terrore».

Il presidente francese Macron punta a una iniziativa europea per «anticipare» e «proteggere contro i flussi migratori irregolari importanti» previsti dopo la crisi in Afghanistan. «Assieme a Germania e altri Paesi europei porteremmo un’iniziativa per costruire al più presto una risposta robusta, coordinata e unita», ha detto durante un breve discorso alla Nazione dedicato alla questione afghana.

Tra il 1996 e il 2001, lo ricordiamo, l’allora Emirato islamico fu formalmente riconosciuto come Stato solo da Emirati Arabi, Pakistan, Turkmenistan e Arabia Saudita. I Paesi che oggi potrebbero fare lo stesso sono, oltre a quelli di vent’anni fa, quelli del fronte antagonista degli Stati Uniti, come Cina e Turchia. La Russia deciderà se riconoscere il nuovo governo islamico in base alla sua condotta.

La coesione tra Paesi democratici andrà tuttavia costruita. Anche e soprattutto all’interno dell’Ue. L’Austria, ieri, ha confermato che continuerà a respingere gli afgani irregolari mentre la cancelliera tedesca, Angela Merkel, ha ventilato una «collaborazione» con i Paesi confinanti con l’Afghanistan per gestire una crisi umanitaria e politica che durerà «per molto tempo».