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Intervista. L’economista Mesa Lago: «L’embargo ha fallito. Rimuoverlo è cruciale»

Lucia Capuzzi venerdì 14 agosto 2015
«Ci vogliono due persone per ballare il tango. Questo proverbio statunitense descrive bene il dialogo in corso tra Usa e Cuba. Obama ha dimostrato il suo impegno a negoziare. Spero che anche Raúl Castro sia disposto a fare concessioni. Anche in ambito politico Si vedrà a breve, se lascerà ai diplomatici Usa libertà di totale movimento nell’isola. E possibilità di ricevere gli oppositori». Carmelo Mesa Lago, economista dell’Università di Pittsburgh e tra i più attenti osservatori delle questioni cubane, si oppone all’embargo fin dal 1967. «È stato un fallimento. Sono, dunque, favorevole al disgelo, per le stesse ragioni del presidente Obama. E alla normalizzazione delle relazioni. Mi preoccupa, però, questa sorta di “schizofrenia” delle autorità dell’Avana che, da una parte, si aprono, e dall’altra, si mostrano intransigenti con il dissenso». Domenica è stato fermato un centinaio di oppositori, poi rilasciati, secondo l’ormai collaudato sistema di “repressione a bassa intensità”. «Mi sembra una strategia poco lungimirante», dice. Come spiega tale ambivalenza?I settori più oltranzisti temono che l’avvicinamento agli Stati Uniti rafforzi l’opposizione. Potrebbero, pertanto, “frenarla” con il pugno di ferro perché non conquisti nuovi spazi. A luglio ci sono stati 674 fermi. In ogni caso è una politica controproducente. Specie ora.Anche negli Stati Uniti c’è un ampio fronte contrario al disgelo.L’opposizione al nuovo corso ha creato uno schieramento trasversale. Al gruppo dei repubblicani irriducibili, come Marco Rubio, Jed Bush o Ted Cruz, si sommano vari democratici, tra cui Bob Menéndez. Il partito repubblicano non è monolitico. Oltre alla frangia radicale che critica duramente il nuovo corso, vi sono numerosi deputati e senatori, magari meno noti, che contribuiscono a provvedimenti di senso contrario. Non dimentichiamo che è stata una commissione a maggioranza repubblicana a rimuovere, a luglio, molte restrizioni ai viaggi nell’isola. Questo perché gli imprenditori – e anche buona parte dell’opinione pubblica – è favorevole a incrementare commerci e investimenti con Cuba, al momento limitati all’esiguo settore privato locale. Resta, però, da sciogliere il nodo dell’embargo. Uno scoglio non facile da superare. Cambierà qualcosa per i cubani in seguito alla normalizzazione o la riapertura dell’ambasciata e la visita di Kerry ha solo un valore simbolico?Quello di oggi è un nuovo inizio nelle relazioni tra L’Avana e Washington. Il che non vuol dire che ci saranno cambiamenti immediati. Nel breve periodo, anzi, gli effetti saranno ridotti. Il turismo statunitense nell’isola, ad esempio, è cresciuto di un 16 per cento nell’ultimo quadrimestre, ma siamo ancora lontani dall’atteso boom. A medio e lungo termine, tuttavia, molto dipende dall’effettiva rimozione dell’embargo prima della fine della presidenza Obama. E, in caso contrario, da chi gli subentrerà alla Casa Bianca. Una cosa, però, ho imparato su Cuba in 56 anni di studio: riesce sempre a sorprendere i “futurologi”.