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Medio Oriente. La lettera di un gruppo di ebrei italiani: «La guerra a Gaza va fermata»

lunedì 12 febbraio 2024

Distruzione a Rafah dopo un raid

Pubblichiamo il testo della lettera di un gruppo di intellettuali ebrei sulla guerra a Gaza e sulla posizione di Netanyahu.

Siamo un gruppo di ebree ed ebrei italiani che, dopo la ricorrenza del Giorno della Memoria e nel vivere il tempo della guerra in Medio Oriente, si sono riuniti e hanno condiviso diversi sentimenti: angoscia, disagio, disperazione, senso d’isolamento. Il 7 ottobre, non solo gli israeliani ma anche noi che viviamo qui siamo stati scioccati dall’attacco terroristico di Hamas e abbiamo provato dolore, rabbia e sconcerto.

E la risposta del governo israeliano ci ha sconvolti: Netanyahu, pur di restare al potere, ha iniziato un’azione militare che ha già ucciso oltre 28mila palestinesi e molti soldati israeliani, mentre a tutt’oggi non ha un piano per uscire dalla guerra e la sorte della maggior parte degli ostaggi è ancora incerta. Purtroppo sembra che una parte della popolazione israeliana e molti ebrei della diaspora non riescano a cogliere la drammaticità del presente e le sue conseguenze per il futuro.

I massacri di civili perpetrati a Gaza dall’esercito israeliano sono sicuramente crimini di guerra: sono inaccettabili e ci fanno inorridire. Si può ragionare per ore sul significato della parola “genocidio”, ma non sembra che questo dibattito serva a interrompere il massacro in corso e la sofferenza di tutte le vittime, compresi gli ostaggi e le loro famiglie.

Molti di noi hanno avuto modo di ascoltare voci critiche e allarmate provenienti da Israele: ci dicono che il Paese è attraversato da una sorta di guerra tra tribù – ebrei ultraortodossi, laici, coloni – in cui ognuno tira l’acqua al proprio mulino senza nessuna idea di progetto condiviso. Quello che succede in Israele ci riguarda personalmente: per la presenza di parenti o amici, per il significato storico dello Stato di Israele nato dopo la Shoah, per tante altre ragioni. Per questo non vogliamo restare in silenzio.

Abbiamo provato forte difficoltà di fronte all’appena trascorso Giorno della memoria: non possiamo condividere la modalità con cui lo si vive se lo si riduce a una celebrazione rituale e vuota. Riconoscendo l’unicità della Shoah, consideriamo importante restituire al 27 gennaio il senso e il significato con cui era stato istituito nel 2000, vale a dire un giorno dedicato all’opportunità e all’importanza di riflettere su ciò che è stato e che quindi non dovrebbe più ripetersi, non solo nei confronti del popolo ebraico.

Il 27 gennaio 2024 è stato una scadenza particolarmente difficile e dolorosa da affrontare: a cosa serve oggi la memoria se non aiuta a fermare la produzione di morte a Gaza e in Cisgiordania? Se e quando alimenta una narrazione vittimistica che serve a legittimare e normalizzare crimini? Siamo ben consapevoli che esiste un antisemitismo non elaborato nel nostro Paese e nel mondo, ne sentiamo l’atmosfera e l’odore in questi mesi soprattutto dal 7 ottobre, quando abbiamo visto incrinarsi i rapporti, anche personali, con parte della sinistra. Ma ci sembra urgente spezzare un circolo vizioso: aver subito un genocidio non fornisce nessun vaccino capace di renderci esenti da sentimenti d’indifferenza verso il dolore degli altri, di disumanizzazione e violenza sui più deboli.

Per combattere l’odio antiebraico crescente in questo preciso momento, pensiamo che l’unica possibilità sia provare a interrogarci nel profondo per aprire un dialogo di pace costruendo ponti anche tra posizioni che sembrano distanti. Non siamo d’accordo con le indicazioni che l’Unione delle Comunità ebraiche italiane ha diffuso per la giornata del 27 gennaio, in cui viene sottolineato come ogni critica alle politiche di Israele ricada sotto la definizione di antisemitismo. Sappiamo bene che cosa sia l’antisemitismo e non ne tolleriamo l’uso strumentale. Vogliamo preservare il nostro essere umani e l’universalismo che convive con il nostro essere ebree ed ebrei.

In questo momento, quando tutto è difficile, stiamo vicino a chi soffre provando a pensare e sentire insieme.

Fabrizio Albert

Rachele Alberti

Marina Ascoli

Massimo Attias

David Calef

Valeria Camerino

Giorgio Canarutto

Lucio Damascelli

Beppe Damascelli

Enrico De Vito

Annapaola Formiggini

Saby Fresko

Paola Fresko

Giulia Frova

Bice Fubini

Nicoletta Gandus

Adriana Giussani

Bella Gubbay

Joan Haim

Hassan Massimo

Cecilia Herskovitz

Stefano Jesurum

Francesca Incardona

Stefano Levi Della Torre

Annie Lerner

Gad Lerner

Stefano Liebman

Raffaella Molena Tedeschi

Stefano Mariotti

Bruno Montesano

Guido Ortona

Bice Parodi

Laura Pesaro

Simone Rossi del Monte

Renata Sarfati

Stefano Sarfati

Eva Schwarzwald

Gavriel Segre

Simona Sermoneta

Shmuel Sermoneta Gertel

Susanna Sinigaglia

Sergio Sinigaglia

Stefania Sinigaglia

Deborah Taub

Jardena Tedeschi

Mario Tedeschi

Massimo Gentili Tedeschi

Sara Tedeschi

Fabrizia Termini

Alessandro Treves

Claudio Treves

Roberto Veneziani

Serena Veneziani

Marco Weiss

Per ulteriori adesioni

maiindifferenti6@gmail.com