Oxfam. Ebola, un anno dopo: così si combatte l'epidemia
lunedì 23 marzo 2015
Ebola, un anno dopo: oltre 9.600
morti e più di 23.700 persone contagiate. "Numeri atroci che oggi
potrebbero essere diversi se trattamento e prevenzione della malattia,
ugualmente necessarie, fossero procedute di pari passo". Lo afferma l'organizzazione
umanitaria Oxfam."Dallo scoppio dell'epidemia in Africa
occidentale, un approccio quasi esclusivamente sanitario ha ostacolato
i progressi che avrebbero permesso di prevenire prima e meglio
l'estensione del contagio tra la popolazione". Con il risultato che
"siamo ancora lontani dall'obiettivo per cui tutti stiamo lavorando,
ossia l'azzeramento del numero delle persone contagiate", avverte Sue
Turrell, responsabile della risposta umanitaria di Oxfam per
l'emergenza ebola.
Per l'associazione "governi e altri enti internazionali avrebbero dovuto impegnarsi di più nel
coinvolgere da subito la popolazione sulle misure di prevenzione". "Se ci fosse stato un impegno più tempestivo nel
coinvolgere la popolazione probabilmente moltissime vite non sarebbero
andate perdute".
Prevenzione in Sierra Leone: il reparto maternità dell'ospedale (foto Oxfam)
"La necessità di un maggior coinvolgimento delle comunità colpite è
stata finalmente riconosciuta dai governi e dalle organizzazioni
umanitarie come una componente essenziale della risposta all'ebola",
prosegue Oxfam che in uno studio condotto a fine 2014 ha evidenziato
"come una percezione negativa e la paura tra la gente, rispetto alle
operazioni di risposta all'epidemia, abbiano contribuito a complicare
a rendere inefficace il lavoro di contrasto all'ebola in alcune aree".Sierra Leone, campagna informativa sull'ebola (foto Oxfam)
"Ma la fine dell'epidemia non è il solo obiettivo da
raggiungere nei Paesi colpiti. Le strutture sanitarie predisposte per
rispondere all'emergenza - conclude Oxfam - nel prossimo futuro
potranno servire ad affrontare altri gravi problemi sanitari e sociali
che colpiscono la popolazione: dal colera, alla malaria, al fenomeno
delle mutilazioni genitali femminili". L'organizzazione auspica quindi
"che le comunità e i livelli locali di governo possano essere
coinvolti nel processo decisionale e di pianificazione delle
interventi necessari a rendere possibile la ripresa socio-economica
dei paesi messi in ginocchio dall'ebola".