Sud Sudan. «In mezzo al conflitto, noi giovani al servizio delle donne»
Macabi, Costanzia e Natabugu
“Ora non abbiamo più paura di guardare negli occhi la nostra gente” dice Costanzia, dal profondo Sud Sudan, il Paese più giovane al mondo. Anche il Papa nei giorni scorsi ha lanciato un appello, contro la fame e per la pace in Sud Sudan. E nelle parole di Costanzia, Macabi e Natabugu ricorre con forza il conflitto, la lotta di potere, la rincorsa forsennata a migliorare quegli indici di salute e di alfabetizzazione femminile che sono tra i più bassi della Terra. Come Costanzia, anche le altre non hanno più paura di affrontare la vita, la gente: la scuola, gli studi, le hanno rese forti. Ed ora tutte e tre, diplomate, puntano a diventare ostetriche. Lo faranno in un istituto che non è solo speranza di salute, ma anche di pace: vi convivono molte etnie che nel resto del Paese sono in conflitto tra loro.
Costanzia, Macabi, e Natabugu hanno 22 anni e sono nate e vivono dello Stato dell’Equatore occidentale, un’ampia regione del Sud Sudan. Quando erano più giovani, come tante loro coetanee frequentavano la scuola elementare sapendo bene che la probabilità di poter finire gli studi era molto bassa, visto che già allora solo quattro ragazze su cento riuscivano a finire la scuola media, per via della povertà e di tradizioni locali che vedono le ragazze sposarsi molto presto. Ma le tre hanno lavorato seriamente, senza mollare, e la scuola media l’hanno finita.
Nel gennaio del 2013, poi, hanno avuto la possibilità di iscriversi alla Maridi Girls’ Boarding School for the Sciences proprio nel primo anno della sua apertura. Questo liceo femminile è stato voluto da Amref Health Africa e dalla famiglia di Michele Ricci - (http://www.michelericcischoolforlife.it/), ragazzo romano che nel 2010 perse la vita a causa di un incidente - proprio per supplire alle poche possibilità che le ragazze continuano ad avere in Sud Sudan per la preparazione agli studi superiori, ad una specializzazione, un problema che Amref ha riscontrato in due decenni di formazione di personale sanitario.
“Voglio ridurre l'alto tasso di mortalità materna” sottolinea Natabugu. Che poi aggiunge un ricordo che le ha cambiato l’esistenza: “Una volta una madre nel mio villaggio, in travaglio da tre giorni, è stata portata in ospedale in ritardo ed è morta con il bambino. Questo mi ha fatto distrutto dentro, mi ha segnato. Avevo 18 anni”. Per i 4 anni successivi, con la medesima determinazione dimostrata nella scuola elementare e media, Macabi, Costanzia e Natabugu si sono impegnate nell’obiettivo di finire il liceo e di andare avanti nella vita, indipendentemente da quanto la realtà del Sud Sudan, in preda a un drammatico conflitto interno, sembra dettare. E nel dicembre del 2016 tutte e tre hanno conseguito il loro diploma.
Appena hanno saputo di essere state promosse, le tre ragazze hanno fatto domanda per iscriversi al corso di formazione triennale per ostetriche sempre gestito da Amref a Maridi e sono state accolte. Da due mesi, stanno quindi affrontando con immutato impegno questa nuova sfida, per poi potersi mettere al servizio delle donne, delle madri del loro Paese. Dal 1998 Amref sostiene il Maridi Health Science Institute di Maridi, punto di riferimento della zona per la formazione di operatori sanitari. In questo istituto si è formato l’80 per cento degli assistenti medici di tutto il Sud Sudan e qui completeranno i loro studi anche Macabi, Costanzia e Natabugu. Ma qui convivono anche tantissimi ragazzi di etnie diverse, in un Paese ancora attraversato da violenze interetniche molto forti.
“Nella nostra scuola non ci sono segni di segregazione o divisioni tra etnie. Siamo tutti sud sudanesi” racconta Macabi, cui fa eco Costanzia: “Ci sentiamo davvero distrutte per il conflitto in corso. Sta davvero influenzando i nostri studi. In questo Paese dobbiamo essere in grado di perdonare a vicenda. Il perdono è l'unico modo in cui la pace verrà. Se non perdoniamo, la pace non verrà”. Natabugu punta in alto: “Se potessi incontrare i nostri leader politici, direi loro di smettere di combattere e di coinvolgerci nel portare la pace nella nostra nazione. Così il nostro Paese può svilupparsi come le altre nazioni”.
“Da quando ormai 4 anni fa la situazione politica del Sud Sudan è implosa, portando il Paese nel baratro della guerra civile, gradualmente la situazione non ha fatto che peggiorare e la condizione umanitaria è catastrofica - racconta Tommy Simmons, fondatore di Amref Italia -. Nell’arco dell’ultimo anno le milizie coinvolte nel conflitto si sono frammentate e moltiplicate, diffondendo ulteriormente la voce delle armi. Ad oggi quasi 4 milioni di persone hanno dovuto lasciare le proprie case, in gran parte cercando rifugio nei Paesi limitrofi. Quasi 8 milioni di sudsudanesi dipendono dagli aiuti per la loro sopravvivenza. Decine di migliaia di persone hanno già perso la vita”.
“Poco tempo fa – prosegue Simmons -, gli esperti in sicurezza alimentare delle organizzazioni alimentari hanno previsto che nel 2018 in Sud Sudan più di un milione di bambini sotto ai cinque anni saranno malnutriti e che in 300mila saranno fortemente a rischio di morte”.