Ucraina. La guerra di cui tutti sono stanchi: mancano uomini e gli alleati frenano
Un mortaista in addestramento nella regione di Kiev
In Ucraina, i due belligeranti non hanno mai comunicato né le perdite subite, né lo stato degli arsenali, censurandoli e rendendo azzardata ogni previsione sulla guerra. Sappiamo però che combattere non “attrae” più. Perfino il comandante supremo ucraino, rimbrottato da Zelensky, si è detto pessimista sulle capacità del Paese: «Potremmo ritrovarci senza effettivi», ha confidato all’Economist. Le città ucraine, piene di mutilati e di invalidi, vedono molti uffici di arruolamento girare a vuoto, perché quei corpi straziati dissuadono anche i più temerari. Oggi, l’età media di chi combatte al fronte è di 43 anni, un handicap per qualsiasi esercito moderno.
E c’è anche di peggio, visto che Kiev sta perdendo il supporto degli arsenali occidentali, il favore dei media e lo smalto fra apparato politico e vertici militari. Time descrive una presidenza isolata, vittima della sua hybris, con un Zelensky cieco di fronte ai segnali allarmanti che arrivano dalle battaglie. L’Ucraina non ha bisogno di F-16, ma di un comando e controllo efficiente, perché è questo il motore e il cervello delle forze armate. Quasi in crisi e scosso dalle purghe di molti quadri, il vertice militare manca purtroppo di ufficiali di stato maggiore. Non ha mai imparato a coordinare azioni di grande respiro, uniche in grado di rompere il fronte. È il motivo principale che spiega il fallimento della controffensiva estiva, come ammesso dagli stessi comandanti ucraini. I 400chilometri quadrati riconquistati e i 17 chilometri di avanzata hanno deluso tutti, a partire dai mecenati occidentali. Joseph Borrell, citato da Metadefense, ha messo le mani avanti, dicendo chiaro e tondo che Bruxelles non potrà sostituire Washington nel caso in cui il nuovo inquilino della Casa Bianca voltasse le spalle a Kiev.
La paralisi amministrativa che pende sulle dinamiche d’oltreatlantico rischia di spegnere le illusioni ucraine, azzerate soprattutto se si realizzasse la vittoria trumpiana. È l’incognita peggiore, che fa intravedere a Le Figaro un inverno durissimo, foriero di sconfitte per Kiev. Sulla stampa europea cominciano ad aleggiare interrogativi sulle conseguenze di una disfatta ucraina, rilanciati pure dal premier rumeno. Nelle cancellerie occidentali si rivedono le priorità di un tempo e le esigenze immediate: le agende sono dettate dai nuovi fronti del Vicino Oriente e dalle tempeste che si profilano in Asia, anche se il G7 si dichiara compatto nel sostegno a Kiev e la Commissione invita i suoi membri a negoziati tempestivi fra l’Ucraina e l’Ue.
La verità è che i nostri leader stanno premendo ufficiosamente su Zelensky perché accetti colloqui con la Russia, pur non avendo precisato i termini della persuasione: pensano forse a un trattato di pace? O a un armistizio in stile coreano? O a un semplice cessate il fuoco? E i russi sarebbero d’accordo a intavolare trattative? Nell’ultimo periodo, hanno ripreso l’iniziativa tattica, imbaldanziti dalle azioni diversive a sud e a est. Hanno contrattaccato ad Advivka, a Kremnina e nei pressi di Vulhedar e di Novomykhailiivska, talvolta vincendo, talaltra fallendo. Puntano a riprendere anche il terreno sud-occidentale, perso in estate, ma qui la loro logistica è sotto tiro: scende nell’area fluendo da Donetsk, dalle strettoie della Crimea e dall’autostrada M17, che si sdoppia in ferrovia lungo l’istmo di Armiansk, disegnando assi vulnerabili.
L’Armata Rossa sta facendo l’impossibile: aumentando l’età dei reclutabili si è offerta un potenziale di 1,5 milioni di nuovi uomini; l’industria sforna missili e blindati a iosa, più dei livelli d’ante guerra e ha la sponda degli arsenali iraniani e nordcoreani. Come se non bastasse, l’anno prossimo il 6% del Pil nazionale sarà dirottato sulle armi: un bilancio che lascia desumere una programmazione di lunga durata. Servirà davvero? La Russia è zeppa di problemi. Si trova nella stessa impasse tattica ucraina, nell’incapacità di una manovra dinamica in attacco e nella predominanza della difesa. Insomma non ha nulla capace di spezzare l’inerzia. A livello operativo, è zero: ha un’aviazione intatta, ma priva di occhi e di intelligence strategica. Gli aerei mancano di coordinamento interforze.
Non sanno fare targeting dinamico, ovvero acquisire e trattare gli obiettivi in tempo reale. Per il generale ucraino Zalujny solo l’arrivo di armi dirompenti (game-changers) potrà scompaginare il quadro. Ma i pochi F-16 in itinere non saranno dei game-changers, peraltro inesistenti negli arsenali occidentali e russi. A Kiev servirebbero piuttosto uomini, difese aeree, mezzi antimina, sistemi da guerra elettronica, armi anticarro e centinaia di aerei. Altrimenti lo stallo durerà a lungo, avvantaggiando i russi, come sostiene Pavel sul Kyiv Independent. Salvo sorprese, il conflitto scemerà forse d’intensità, non solo per le avversità climatiche, ma anche per l’impotenza dei belligeranti. La guerra si farà semicalda, con scontri sporadici al fronte, bombardamenti a lungo raggio e un fronte che correrà lungo la nuova cortina di ferro Est-Ovest, a riprova che la pace è un miraggio ancora lontano.