Mondo

Africa. Prove di trattative in Niger dopo il golpe. Continua la fuga degli stranieri

Daniele Zappalà giovedì 3 agosto 2023

La polizia controlla una manifestazione a favore dei golpisti nella capitale del Niger, Niamey

Nel quadro del golpe in Niger, quella targa dell’Ambasciata francese a Niamey strappata dai manifestanti, calpestata e sostituita da bandiere russe. Per la Francia, nei giorni scorsi, è stata la scena simbolo della temuta fine della propria presenza nel Sahel, dopo le manifestazioni antifrancesi già associate ai colpi di Stato in Mali (2021) e Burkina Faso (2022). Di certo, una delle chiavi della crisi in corso. Tanto che ormai è «credibile» l’ipotesi di uno “sfratto” dei francesi dalla regione, ci dice l’analista e saggista nigerino Seidik Abba, autore in Francia di “Mali-Sahel. Notre Afghanistan à nous?” (Impacts), in cui paragona gli errori militari francesi nel Sahel all’incubo afghano vissuto da Washington.

Ieri, intanto, sono proseguiti i rimpatri, anche con l’operazione organizzata da Roma: 36 italiani su un totale di 87 passeggeri a bordo di un Boeing 767 dell’Aeronautica Militare, atterrato all’alba a Ciampino in provenienza da Niamey. Dal caso suo, la Francia ha predisposto in giornata un terzo e quarto volo, anch’essi con passeggeri di più nazioni, ricorrendo pure al meccanismo di protezione civile dell’Ue.

La pressione internazionale sulla giunta militare golpista a Niamey è rimasta alta, in particolare con il taglio dell’approvvigionamento elettrico dalla vicina Nigeria, rispetto alla quale il Niger è dipendente per il 70% delle forniture energetiche. Una mossa di certo associata all’interventismo dell’Ecowas (Comunità economica degli Stati dell’Africa dell’Ovest), alla cui guida è stato appena designato proprio il neopresidente della Nigeria, Bola Tinubu. Come se, di fronte pure all’evidente perdita d’influenza francese, la Nigeria cercasse di rafforzare le proprie prerogative regionali.

Dopo il lancio di un ultimatum di una settimana, proprio l’Ecowas ha assicurato ieri che l’ipotesi di un intervento armato a favore del presidente deposto Mohamed Bazoum resterà «l’ultima risorsa». In giornata, da parte dell’organismo regionale, soprattutto l’arrivo a Niamey di una missione a colloquio con i golpisti. Questi ultimi hanno invece riaperto 5 frontiere e inviato una delegazione nel Mali anch’esso tenuto da militari, sullo sfondo di altre dichiarazioni ai più alti livelli. Da Mosca, un invito al dialogo. Da Washington, invece, la smentita di voci circa un’evacuazione in vista dell’ambasciata americana.

Quanto a Parigi, sono pure ore spese a riflettere sugli errori recenti nella regione. Per Seidik Abba, la Francia paga innanzitutto «gli scarsi risultati nella lotta al terrorismo». Ma a ciò si sommano tante «gaffe diplomatiche» recenti verso Niamey, capaci d’esacerbare la mai sopita impressione in Niger di una gestione francese «arrogante e neocoloniale» delle relazioni bilaterali. Fra i contenziosi annosi all’origine dell’avversione, oltre alla dipendenza monetaria dalla Francia, figura pure lo sfruttamento delle miniere nigerine d’uranio, fondato su accordi anche recenti considerati iniqui da ampi settori dell’opinione pubblica in Niger: tanto per la ripartizione dei proventi, quanto per le condizioni di lavoro del personale locale e per il pesante impatto ambientale dell’estrazione.

Per il momento, secondo l’analista, l’astio popolare riguarda specificamente la Francia e non l’insieme dell’Ue o del campo occidentale. Ma gli sviluppi restano imprevedibili, anche per via delle interferenze d’altre potenze, come Russia, Cina e Turchia.