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Guerra. Dopo i missili Meloni convoca il G7: «Soluzione diplomatica ancora possibile»

Matteo Marcelli mercoledì 2 ottobre 2024

Giorgia Meloni vuole a tutti i costi che l’Italia sia al centro dell’azione diplomatica internazionale sul conflitto in Medio Oriente e per farlo convoca un G7 straordinario mentre Tel Aviv si prepara a rispondere alla pioggia di missili iraniani lanciati martedì e la battaglia contro Hezbollah infiamma il Sud del Libano. Ore concitate, in cui la premier tenta di imporre la sua leadership sfruttando la presidenza di turno del consesso dei grandi della terra e nella convinzione che una soluzione negoziale al conflitto sia ancora praticabile. In gioco c’è anche la sicurezza del contingente italiano impegnato in Unifil: oltre 1.000 soldati schierati sulla Linea blu ai quali il capo dell’esecutivo vuole fornire la maggior copertura politica possibile.

I leader rispondono alla chiamata, nessuno escluso, e la video call organizzata da Palazzo Chigi fissa alcuni punti fermi. Il primo è «la condanna dell’attacco iraniano contro Israele», cui segue l’annuncio del presidente Usa, Joe Biden, di una risposta coordinata del G7 contro Teheran, «incluse nuove sanzioni». Al termine del vertice la nota diffusa dallo staff di Meloni dà conto del proposito comune di continuare a «lavorare congiuntamente per favorire una riduzione delle tensioni a livello regionale, a partire dall’applicazione della Risoluzione 2735 a Gaza e della Risoluzione 1701 per la stabilizzazione del confine israelo-libanese». Scontata, quanto necessaria, anche «la forte preoccupazione per l’escalation», alla quale però, ed è questo lo spunto più incoraggiante, i leader del G7 ritengono sia ancora possibile mettere un punto con una «soluzione diplomatica».

Per quanto riguarda Unifil, Meloni è altrettanto solerte e fa sapere di aver «invitato il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite a prendere in considerazione un rafforzamento del mandato della missione al fine di garantire la sicurezza del confine tra Israele e Libano». Una richiesta che il ministro della Difesa, Guido Crosetto, aveva già anticipato nei mesi scorsi. La sintesi, confermata anche dal titolare degli Esteri, Antonio Tajani, è che i militari italiani resteranno dove sono, se poi il quadro dovesse peggiorare sensibilmente si valuteranno altre opzioni e allo scopo, chiarisce ancora la premier, «il tavolo di Governo è stato convocato in forma permanente per monitorare costantemente l'evolversi della situazione e adottare tempestivamente le misure necessarie».

I risvolti della guerra sul fronte politico costringono Crosetto a difendersi dalle accuse di inerzia mosse dalle opposizioni. La replica del ministro va inscena nell’audizione della mattina davanti alle commissioni Difesa di Camera e Senato. I toni sono concitati: «Non è vero che non ci sono state scelte politiche e prese di posizioni – scandisce Crosetto –. Ci sono molti atti concreti di cui non il governo ma l'Italia più essere fiera. Siamo uno dei pochissimi paesi al mondo che si è mosso con l'Onu più di un anno fa sollecitando un intervento con Unifil che cambiasse le regole di ingaggio e consentisse alla missione di esercitare un ruolo che potesse evitare quello a cui stiamo assistendo. L'abbiamo messo per iscritto. Unici al mondo lo abbiamo detto», rivendica. Anche su Hamas la posizione è sempre stata «chiara», così come sulla soluzione dei «due popoli e due Stati», un obiettivo che l’Italia non ha mai avuto paura di dichiarare, chiarisce ancora il titolare della Difesa, ricordando che gli Stati Uniti hanno chiesto 200 carabinieri perché considerati «gli unici in grado di formare le forze di polizia palestinesi a Gerico».

Nella stessa sede è Tajani a rassicurare una volta di più sul destino dei soldati italiani, chiarendo che un piano di evacuazione è già allo studio ma anche che, al momento, è «assolutamente» improponibile l’ipotesi di ritiro dallo scenario.

Le spiegazioni, però, non convincono il Pd, che con Giuseppe Provenzano, responsabile Esteri del partito, invita il governo a «svegliarsi dal torpore» e «assumersi la responsabilità di intraprendere iniziative diplomatiche». Ma soprattutto, accusa l’esecutivo di non aver preso posizione contro il governo israeliano e le sue «continue violazioni del diritto internazionale». Nicola Fratoianni, di Avs, chiede di sospendere il trattato di associazione di Israele con l'Unione Europea. E mentre il leader 5s, Giuseppe Conte, invoca una posizione netta sul conflitto, il capogruppo in commissione Esteri, Riccardo Ricciardi, propone sanzioni contro Tel Aviv, in quanto Stato aggressore al pari della Russia.