Si riaccendono speranze e timori per Asia Bibi, in carcere da 2.218 giorni in attesa della decisione di domani della Corte suprema sulla sentenza di morte, confermata in appello nell’ottobre 2014, a quattro anni dalla condanna di primo grado. Se nella città di Lahore il tribunale dovesse respingere l’appello, a salvare la madre di famiglia cattolica potrebbe essere solo la grazia presidenziale. Se la richiesta venisse, invece, accolta, la Corte dovrebbe poi fissare le nuove udienze. In questo caso, come riferito a
Vatican Insider da Joseph Nadeem, responsabile della Renaissance Education Foundation e tutore della famiglia della donna, un collegio di tre giudici, accogliendo le richieste del difensore musulmano di Asia, Saiful Malook, esaminerà il caso, dando avvio al nuovo processo che abitualmente conta solo due udienze. Nel mirino della difesa, le evidenti irregolarità e prove contraddittorie portate dall’accusa nel primo e nel secondo grado. Questo è il primo processo contro una “blasfema” arrivato davanti alla Corte suprema pachistana. In genere, le accuse di blasfemia, frequenti in primo grado, sono rigettate in appello. Il caso di Asia Bibi ha acquisito tuttavia un interesse unico, stimolando reazioni a lei favorevoli ma anche una pressione costante degli estremisti. Questi ultimi l’hanno condannata morte indipendentemente dalle decisioni dei giudici. Soprattutto per ragioni di sicurezza, con ogni probabilità Asia Bibi non sarà presente all’udienza ma resterà nel carcere femminile di Multan, dove si trova in isolamento. Nonostante la situazione difficile – anche la famiglia è obbligata a vivere in clandestinità per evitare ritorsioni – il marito, Ashiq Masih, ha segnalato «soddisfazione per l’avvicinarsi del giudizio della Corte suprema ». «L’intera famiglia – ha fatto sapere – sta pregando per il suo rilascio e spera che possa essere scarcerata e tornare a vivere con i suoi figli». Intanto, gli episodi di violenza contro le minoranze, proseguono in Pakistan. Come dimostra l’aggressione di due donne accusate nei giorni scorsi di blasfemia da una musulmana in disaccordo sul prezzo di vendita di una stuoia usata come tappeto nella loro abitazione. Delusa dalla contrattazione, l’islamica ha accusato le vicine Rukhsana e Rehana di avere individuato nei disegni sulla stuoia immagini del Corano e di versi coranici. Portate a forza fuori dall’abitazione, sono state caricate su asini insieme al marito di Rukhsana. I tre sono stati poi fatti sfilare per il villaggio di Sheikhupura, lo stesso di Asia, insultati e picchiati. L’intervento della polizia sollecitato da attivisti locali ha salvato loro la vita.