Intervista a Savino Pezzotta. «Dobbiamo rischiare la pace con pratiche nonviolente»
Savino Pezzotta
Ha ancora senso manifestare per la pace?
«Altroché se ha senso. E diventa sempre più doveroso da un punto di vista morale». Alla vigilia della Marcia per la Pace straordinaria da Perugia ad Assisi, l’ex segretario della Cisl e deputato Savino Pezzotta ribadisce le ragioni del pacifismo e dell’impegno nonviolento in alternativa alla deriva bellicista che sta caratterizzando le scelte politiche in Europa e in Italia.
Non è velleitario?
No, manifestare è un modo di stare in campo, di educare alla pace e di affermare anche parole e simboli diversi da quelli della guerra che rischiano di far passare in secondo piano persino la sofferenza delle persone. Non possiamo assistere inermi alla distruzione di un popolo e di un Paese intero. Nessuno vincerà realmente questa guerra. E chi dovesse dominare alla fine del conflitto siederà solo su un cumulo di macerie, di ferite e di odio. Noi dobbiamo assumerci il rischio della pace, tentare vie nuove, sperimentarla.
Ma una volta iniziata l’invasione – di cui il Cremlino porta intera la criminale responsabilità – il governo di Zelensky che cosa doveva fare: arrendersi? O è giusto che abbia avviato una resistenza armata?
La resistenza degli ucraini è comprensibile e la loro difesa legittima. Ma ha un prezzo altissimo. Ed è sbagliato contrapporre resa e resistenza come alternative. Si può resistere non con le armi ma con pratiche non-violente, non offensive. Come accaduto ad esempio quando Hitler invase la Danimarca.
La resa al male non è complicità con il male?
Ma non è una resa al male, al quale ci si oppone, ma in maniera nonviolenta: non collaborando col "nemico", opponendosi a mani nude alle ingiustizie, esercitando rivolte morali non sanguinarie. Cambiando la prospettiva, chiedendosi non chi vince, ma chi salvo, come tutelo il mio popolo, come evito che le persone perdano la vita e che il Paese venga distrutto?
Il metodo di resistenza nonviolenta, certamente efficace nelle dittature e nei conflitti civili, si può applicare sotto le bombe e con i carrarmati per le strade?
Occorre fare il massimo per evitare di arrivare a quel punto, ai bombardamenti indiscriminati, agli orrori delle violenze casa per casa. E, di fronte a un’invasione, se necessario adottare la strategia del giunco, che si piega quando il vento è troppo forte, per rialzarsi poi ancora più dritto.
L’invio di armi all’Ucraina rappresenta un’enorme problema di coscienza, in particolare per i cristiani. Ma privare gli ucraini di questo apporto non equivale a lasciarli soli e a condannarli?
L’invio delle armi serve solo a perpetuare la logica stessa della guerra, a farla durare di più, a provocare un numero più alto di vittime. E lascia adito al sospetto che si faccia combattere agli ucraini una "guerra per procura", in cui noi ci mettiamo gli armamenti e loro la pelle. Capisco la legittima difesa del governo di Kiev, le loro richieste, ma la corsa agli armamenti, oltre a non risolvere il conflitto, rischia anche di innescare un nuova guerra mondiale dagli esiti inimmaginabili, visti gli arsenali atomici a disposizione delle grandi potenze. Occorre invece potenziare la diplomazia, aumentare la pressione internazionale a favore del cessate il fuoco e della pace, mettere in campo il massimo sforzo di solidarietà verso il popolo ucraino, i profughi e chi resta in patria. Essendo anche pronti a pagare un prezzo per questo.
Ecco, le sanzioni previste sono sufficienti? E davvero l’alternativa è tra la pace e il condizionatore, come ha detto il premier Draghi?
Le sanzioni sono state gradualmente allargate, ma finora non si è avuto il coraggio di chiudere le forniture di gas, che rappresentano la principale fonte di introiti della Russia e quindi il mezzo primario per finanziare la guerra. Dobbiamo avere il coraggio di farne a meno, pronti anche a sacrifici personali per questo.
Il problema però non sono le docce fredde o l’estate senza condizionatore, ma che senza approvvigionamenti alternativi chiudono le industrie: rischiamo centinaia di migliaia di disoccupati e una pesante recessione.
Sono consapevole dei rischi, per questo occorre potenziare il ricorso alle energie rinnovabili e la diversificazione delle fonti di approvvigionamento. Non possiamo, però, da un lato fornire armi all’Ucraina e dall’altro finanziare la guerra di Putin, finendo per essere complici del versamento di sempre più sangue.
Fra tre giorni celebreremo il 25 aprile. La resistenza in Italia per liberarsi degli invasori nazisti e dei complici fascisti fu necessariamente armata...
Il contesto è molto diverso. In ogni caso, vorrei ricordare che in Italia, assieme ai partigiani in armi, fu attiva un’ampissima resistenza nonviolenta di tanti dissidenti rispetto al fascismo, di chi nascose gli ebrei, di chi, come mio padre, allora soldato, finì i suoi giorni in campo di concentramento per non aver aderito alla Repubblica di Salò ma essersi anche rifiutato di uccidere ancora.
«Non uccidere» è un comandamento assoluto per un cristiano. La resistenza armata comporta questo terribile compromesso con la coscienza: mettere in conto la morte di altre persone per mano propria. Anche se per legittima difesa.
Come cristiani dobbiamo anzitutto interrogarci sulle divisioni nelle Chiese che sono una parte della radice del male. E di come la nostra unità sia necessaria al mondo, non solo a noi credenti. Quanto all’uccidere sì, è qualcosa che – comunque – ferisce la dignità dell’essere umano. Ricordo che un sacerdote bergamasco – che aveva partecipato attivamente alla resistenza, "dalla parte giusta" – mi confidava di aver pianto tutte le notti sulla sua talare...