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IL FATTO. Dinastie d’Africa, il potere di padre in figlio

Da Parigi Daniele Zappalà domenica 21 giugno 2009
«Figlio mio, un giorno regnerai». La vecchia formula potrebbe tornare di moda in Africa. In molti Paesi, riaffiorano le tentazioni dinastiche, minando le previsioni di un "ineluttabile destino democratico" del continente. Da qualche giorno, gli occhi sono puntati sul Gabon, Stato equatoriale di un milione e mezzo di abitanti. Un "emirato nero", come viene definito per via del petrolio e delle altre ingenti risorse naturali. La morte a 73 anni del presidente "emiro" Omar Bongo Ondimba, la settimana scorsa, ha fatto sobbalzare di colpo un intero continente. Uomo minuto al comando di un regime autoritario incline più al clientelismo che al sangue, Bongo era l’emblema supremo di un principio: in Africa, l’influenza politica è una questione di tempo e di durata del potere, più che di demografia e superficie geografica. Decano dei capi di Stato africani e recordman mondiale di longevità politica dopo quasi 42 anni di regno incontrastato, "Obo" era temuto e riverito in tutto il continente. Ha lasciato un vuoto che tanti sperano di colmare. Soprattutto all’interno della stessa famiglia Bongo. Martedì, durante i funerali solenni a Libreville, cui assistevano pure il presidente francese Nicolas Sarkozy e il suo predecessore Jacques Chirac, uno dei figli del defunto si è impegnato a «perpetuare l’eredità» paterna. Si tratta di Ali Ben Bongo, attuale ministro della Difesa e considerato da anni come primo pretendente alla successione. Poche ore dopo la morte del padre, Ali aveva ordinato la chiusura di tutte le frontiere, facendo temere un colpo di Stato. Nei giorni seguenti, la Costituzione è stata formalmente rispettata, con l’interim affidato alla presidentessa del Senato. Ma Ali, in ogni caso, ha lanciato un chiaro messaggio ai connazionali e alla comunità internazionale: l’esercito, dove i vecchi generali sono stati rimpiazzati da fedelissimi del ministro, è in mano all’"erede". A sbarrargli la strada potrebbe essere la sorella Pascaline, ministro dell’Economia e "tesoriera" del regime. Secondo una tesi ricorrente, quest’ultima potrebbe lanciare la volata al proprio compagno Paul Toungui, capo della diplomazia. In ogni caso, la successione rischia di giocarsi in famiglia. E se si giungerà alle urne – teoricamente entro 45 giorni –, le chance dei pretendenti "esterni" paiono ridotte, in un Paese dove il clan Bongo controlla da decenni tutte le leve del potere. A meno di un sussulto della società civile, che annovera anche tante associazioni cattoliche stanche della corruzione cronica del regime e del "paradosso dell’abbondanza": nonostante i colossali proventi del greggio, il 70% della popolazione vive sotto la soglia di povertà.Togo e Repubblica del Congo A Libreville, c’è chi teme un epilogo "togolese". E in effetti, le analogie non mancano con quanto accaduto a Lomé nel 2005 dopo la scomparsa di un altro "dinosauro": Etienne Gnassingbé Eyadéma, rimasto in sella fin dal colpo di Stato sferrato nel 1967, proprio lo stesso anno dell’insediamento a Libreville di Bongo. Ma rispetto a quest’ultimo, propenso ad "innaffiare" coi petrodollari gli oppositori più malleabili, Eyadéma si era distinto per la brutalità sanguinaria. Questi trascorsi poco edificanti non hanno impedito al figlio del "vecchio baobab", ovvero Faure Gnassingbé, d’imporsi grazie a un "colpo di Stato costituzionale" ordito dagli oligarchi del regime: in appena 3 ore, Faure perde il berretto di ministro, prende quello di deputato e si fa eleggere presidente del Parlamento in modo da assicurare l’interim. Scontato l’esito delle successive "elezioni", macchiate da frodi e repressioni brutali. In un contesto diverso, anche la Repubblica democratica del Congo ha già vissuto la propria successione dinastica. Nel gennaio 2001, dopo l’assassinio di Laurent-Desiré Kabila, fu un ragazzo di appena 29 anni a salire al timone di un Paese sterminato divorato dalla violenza, ovvero "il piccolo Joseph Kabila". La fine ufficiale delle ostilità, il lungo processo di transizione e le elezioni del 2006 hanno lasciato Joseph, come previsto, al potere. Epidemia dinastica?Ma potrebbe trattarsi solo dell’inizio di un’epidemia antidemocratica, data la lunga lista di rampolli ufficiosamente pronti per la successione. E sono giudicati a rischio persino Stati dalla reputazione democratica come il Senegal, dove Karim Meïssa Wade non nasconde più le proprie ambizioni grazie anche all’apparente incoraggiamento dell’anziano padre Abdoulaye. Le future partite paiono in partenza favorevoli agli "eredi" in Libia, Egitto e Guinea Equatoriale. Ma crescenti sospetti dinastici si addensano pure su Uganda e Repubblica Centrafricana. Anche per questo, nell’anno dell’elezione alla Casa bianca dell’afroamericano Barack Obama e nella scia di speranza lasciata dal recente viaggio del Papa, chi sogna una "nuova Africa" freme in questi giorni di fronte al simbolico "test gabonese". In caso di epilogo antidemocratico a Libreville, la "vecchia Africa" potrebbe decisamente rialzare la testa.