Ucraina. La diplomazia sotterranea per lo scambio di prigionieri. L'unico canale aperto
A Kiev come a Mosca tra i segreti meglio custoditi ce ne sono due: il numero dei soldati caduti e la lista dei rispettivi prigionieri di guerra. Ma dalla diplomazia sotterranea che punta alla restituzione dei militari catturati arriva una speranza per l’ipotesi di negoziato. «Non si è mai vista una guerra così brutale nella quale gli scambi di prigionieri siano avvenuti con cadenza quasi settimanale», conferma una fonte della Croce Rossa da Ginevra.
Solo per la parte Ucraina sono ben oltre il migliaio i combattenti restituiti da Mosca e altrettanti ne sono stati rilasciati da Kiev. Neanche le più furiose battaglie hanno fermato i contatti tra gli emissari delle due leadership. Più volte il Comitato internazionale della Croce Rossa (Cicr), in prima linea nelle mediazioni, ha chiesto a Russia e Ucraina di garantire accesso «immediato e senza ostacoli» ai luoghi di detenzione. «Finora abbiamo potuto visitare solo alcune centinaia di prigionieri da entrambe le parti. Ma sappiamo che ce ne sono altre migliaia», ha ricordato nei giorni scorsi Ewan Watson, portavoce del Cicr. Nonostante gli sforzi, i delegati dell’organizzazione non hanno ricevuto le garanzie necessarie. «Non possiamo accedere con la forza a un luogo di detenzione o d’internamento», ha aggiunto Watson. Anche per questo dossier vengono segnalate reazioni opposte dei due governi. Kiev facilita i sopralluoghi in alcune strutture, sbarrando la porta per altre nelle quali si troverebbero specialmente combattenti ceceni e di altre etnie accusate di gravi brutalità. Mosca invece impedisce l’accesso a qualsiasi cella.
Che sui prigionieri si adoperi la mano pesante non è una novità. Il 29 luglio a Olenivka, nell’Ucraina orientale, una misteriosa esplosione ha squarciato una prigione controllata dai separatisti: 50 morti, tra cui numerosi combattenti che a maggio si erano arresi alla Russia nell'impianto siderurgico Azovstal di Mariupol. Da quel momento le trattative erano state sospese, per riprendere a sorpresa da metà agosto. Stavolta con un mediatore speciale, riconosciuto da entrambi i belligeranti. «Sono venuti da me alcuni inviati ucraini. Tra questi il vicerettore dell’Università Cattolica dell’Ucraina, accompagnato dall’assessore per le questioni religiose del presidente, un evangelico», ha rivelato papa Francesco incontrando in Kazakistan a metà settembre un gruppo di gesuiti per il consueto scambio di opinioni al termine di ogni viaggio apostolico, riportato da “La Civiltà Cattolica”. «Abbiamo parlato, discusso. È venuto anche un capo militare – aveva detto papa Francesco – che si occupa dello scambio dei prigionieri, sempre con l’assessore religioso del presidente Zelensky». Kiev aveva chiesto direttamente alla Santa Sede di intervenire. «Questa volta – aggiungeva il Papa alludendo a precedenti colloqui riservati – mi hanno portato una lista di oltre 300 prigionieri. Mi hanno chiesto di fare qualcosa per operare uno scambio. Io ho subito chiamato l’ambasciatore russo per vedere se si poteva fare qualcosa, se si potesse velocizzare uno scambio». Il pontefice non ha specificato di quale episodio si trattasse. Il 21 settembre, alcuni giorni dopo il viaggio del Papa ad Astana, sono state liberate quasi 300 persone (215 per la parte ucraina e circa 50 per la Russia), tra cui 10 cittadini stranieri e i comandanti del battaglione Azov, rilasciati nelle mani del presidente turco Erdogan a condizione che non si muovano da Istanbul. L’11 maggio Papa Francesco, dopo avere ricevuto alcune lettere riservate inviate dai familiari degli ufficiali intrappolati nell’acciaieria Azovstal, aveva incontrato due delle compagne degli ufficiali nel corso dell’udienza del mercoledì.
L’ultimo negoziato è stato tra i più difficili e carichi di emozione per la popolazione ucraina. Il 17 ottobre sono state liberate 108 donne, in maggioranze soldatesse, detenute da mesi. Il Ministero della Difesa del Cremlino ha confermato che 110 cittadini russi sono rientrati «come risultato dei negoziati». In una foto si vede il gruppo di ucraine raggiungere a piedi il territorio controllato dal proprio esercito. In direzione opposta, verso una delle aree occupate, altre persone con gli zaini sulle spalle raggiungono i soldati russi. Da una parte e dall’altra i tiratori sono posizionati sul ponte dello scambio. Poi tutti si allontanano, ciascuno per la propria strada. Per un momento senza più spararsi addosso.
© riproduzione riservata